Adesso Palazzo Chigi non è più un obiettivo solo rivendicato
Ma dipenderà anche dalla capacità di amalgamare un partito apparso diviso fra lui e il sindaco di Firenze, Matteo Renzi: al di là del «gioco delle parti» che l’ex premier Romano Prodi cerca di accreditare. Lo scontro sulle regole, sebbene esagerato strumentalmente, prefigura due modelli di partito e due platee elettorali diverse. E quella di Renzi prevede anche i consensi di quanti sono delusi dal centrodestra e attirati dal suo lessico nuovista. È un elemento che incrocia la seconda conseguenza delle primarie: quella di sottolineare il ritardo e la confusione del Pdl. Il colloquio dei giorni scorsi fra il segretario, Angelino Alfano, e Silvio Berlusconi non li ha colmati ma, se possibile, accentuati. Non è stato ancora convocato l’Ufficio di presidenza del Pdl che dovrebbe misurare le intenzioni e la forza del fondatore e i progetti del suo plenipotenziario. E dunque non si capisce se la rottura, il cosiddetto «spacchettamento» del partito voluto da Berlusconi alla fine ci sarà o no. La prospettiva di un unico partito del centrodestra rimane in bilico. E l’immagine di un Cavaliere indeciso, prigioniero di quelle che Pier Ferdinando Casini, leader dell’Udc, definisce «giravolte», si radica nello stesso Pdl. Anche se forse le primarie indurranno a qualche cambiamento perfino l’area centrista. Casini rimane convinto che la politica economica del governo Monti vada proseguita anche dopo le elezioni. A capo di un esecutivo di ministri politici, non più tecnici, e con altri equilibri, ma sempre a Palazzo Chigi. Sa di dover tenere conto, tuttavia, di un eventuale risultato elettorale che dia una maggioranza chiara al centrosinistra. Rimane da capire, dunque, se confermi questa strategia pur temendo che il governo Monti ormai sia meno realizzabile; oppure semplicemente perché ritiene inutile che occorra aspettare il responso delle urne per definire chi governerà e chi diventerà presidente del Consiglio.
Dal modo in cui parlano i vertici del Pd, si profila «uno squadrone» di centrosinistra, secondo il segretario. Da oggi comincia «la galoppata» verso le urne dopo la «prima tappa», annuncia il capogruppo Dario Franceschini. Insomma, il centrosinistra può perdere solo con le proprie mani. Ma fino a quando non si capirà se Berlusconi accetterà una qualche riforma elettorale, rimane tutto immobile. E riaffiora l’offerta della Lega al Pdl, perché sigli un’alleanza in cambio della crisi del governo Monti. La contrarietà di Alfano all’idea che si voti in alcune regioni a febbraio, e alle politiche a marzo, la rende insidiosa. Una sconfitta a tappe terrorizza il centrodestra.
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