Accetta le cure ma non il dl Severino

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ROMA. Da ieri mattina, dopo aver accusato un malore durante la notte precedente, Marco Pannella ha accettato di sottoporsi a terapia idratante per via endovenosa. «Tuttavia, purtroppo, come temuto, non si è ancora assistito e non si assiste alla ripresa della diuresi», ha comunicato ieri sera il professor Santini che lo segue nella clinica romana dove è ricoverato. Le sue condizioni restano gravi, dunque, anche perché continua a rifiutare cibo e acqua, visto che i tanti «sforzi» sbandierati da esponenti politici e istituzionali per mostrare compartecipazione alla battaglia del vecchio leader radicale non sono altro che un insulto alla sua intelligenza.
«Accetto le terapie per vedere se riusciamo a salvare questa baracca». Si riferisce all’Italia, Pannella, che appare decisamente provato nel videomessaggio registrato ieri mattina. Ma dopo che Roberto Saviano ha cordialmente declinato l’invito a candidarsi nelle liste «Amnistia, giustizia e libertà » perché, dice, ciascuno faccia il mestiere che sa fare, ma, aggiunge, «non ti dirò mai di lasciar perdere la tua battaglia» (Vasco Rossi invece non risponde, preso com’è dai propri problemi di salute), e poiché altre candidature “eccellenti” non si prospettano all’orizzonte, i dirigenti radicali hanno rivolto un appello a decine di personalità  (un potpourri che va da Alessandro Sallusti ai Sud Sound System, da Enzo Boschi a Gad Lerner, da Piero Sansonetti a Filippo Facci), che avevano manifestato solidarietà  twittando con l’hashtag #iostoconmarco, di mettersi in ballo e candidarsi con la Rosa nel pugno per portare i temi della giustizia dentro la campagna elettorale.
Il presidente Napolitano, apprendendo «con sollievo» della terapia idratante, e volendo superare le «particolari incomprensioni con l’on. Pannella sulle condizioni politiche e parlamentari per l’adozione di provvedimenti clemenziali», richiama nuovamente tutti al «senso di responsabilità » per superare la «vergognosa realtà  carceraria che marchia l’Italia», ma continua a considerare fondamentale l’approvazione del provvedimento per l’introduzione di pene alternative al carcere. È il feticcio a cui si appigliano tutti: dal presidente del Senato Renato Schifani, che ha promesso di portare in dono al leader radicale il decreto approvato, alla Guardasigilli Paola Severino che è rimasta fuori dalla porta della clinica per precisa volontà  di Pannella – «ho scelto di non riceverla» -; fino alla Commissione Diritti umani del Senato che ieri ha comunicato ufficialmente di aver discusso a lungo, in seduta straordinaria, di carcere, tortura (il reato mancante) e amnistia, senza però trovare una quadra. Dopo aver ricordato che già  dal 2011 la Commissione aveva individuato nelle leggi Bossi-Fini, Fini-Giovanardi e ex Cirielli le responsabili del sovraffollamento carcerario, i senatori della Diritti umani si sono limitati a concludere: «Molti dei presenti si sono anche dichiarati apertamente a favore dell’amnistia come risposta a quanto Marco Pannella chiede».
Non c’è peggior sordo di chi non vuole sentire. «La ministra Severino continua a dare i numeri – risponde stizzita la deputata radicale Rita Bernardini – nelle patrie galere ci sono solo 250 detenuti che, ad oggi, “potrebbero” accedere alla messa alla prova o alla detenzione domiciliare così come disciplinate dal suo ddl. E gli altri 66.500 stipati in 45.000 posti possono continuare ad essere sottoposti a trattamenti inumani e degradanti come ha sentenziato che avvenga la Corte Europea dei diritti dell’uomo?». Ma il cuore del problema non sta tanto nella «vergognosa realtà  carceraria», di cui pure varrebbe la pena discutere di più e non solo dentro le commissioni (negli Stati uniti, per esempio, il New York Times ha aperto un dibattito on line dal titolo «Prison could be productive», la prigione potrebbe essere produttiva, chiedendo: «Come può una condanna al carcere cambiare in meglio una persona?»), quanto piuttosto nell’«illegalità » reiterata dal nostro sistema giudiziario. «Con ogni evidenza – continua Bernardini – la Severino non si è accorta della bancarotta della giustizia nel Paese di cui è ministro: se consideriamo infatti l’altro grande flagello della giustizia civile (oltre 5 milioni di cause pendenti!) scopriamo che – tra civile e penale – c’è una causa ogni 5,6 abitanti e un’altra ogni 2,3 famiglie». Un problema di tutti, dunque.
Ecco perché l’unico appello che al momento appare condivisibile è quello dell’ispettore generale dei cappellani delle carceri, don Virgilio Balducci, che rivolgendo il pensiero a Marco Pannella e alla sua lotta nonviolenta in nome di «un valore in cui crede», dice: «Non mi sento di chiedergli di fermarsi, di rinunciare. Spero fino all’ultimo minuto che si riesca a fare un piccolo decreto, anche se non so se c’è ancora il tempo».


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