A Taranto non c’è nulla da festeggiare

by Sergio Segio | 27 Dicembre 2012 11:48

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Si è come sospesi in attesa che si concluda questo 2012 da incubo, nella speranza che l’anno nuovo porti in dote chissà  quale beneficio o cambiamento. Si attende dunque, ma lo si fa in tono dimesso, rassegnato. Come se nulla potesse dipendere dalla volontà  di cambiamento di un’intera comunità , che dovrebbe essere desiderosa di prendere in mano il futuro e renderlo migliore, diverso. Si resta in attesa che qualcuno decida ancora una volta per tutti. Ma stavolta, a decidere, potrebbe non essere lo Stato. Del resto, dopo il decreto «salva-Ilva», quello che si «doveva fare» per salvare l’Ilva è stato fatto. Stavolta potrebbe essere il turno del gruppo Riva, che in molti danno pronto ad un clamoroso passo indietro. Vorrebbe dire alzare bandiera bianca, annunciando l’impossibilità  di effettuare gli investimenti necessari per il risanamento degli impianti dell’area a caldo, che l’AIA tramutata in decreto legge dal governo stima in oltre tre miliardi di euro nei prossimi tre anni. Difatti, nella pseudo lettera diffusa lo scorso 21 dicembre a firma della famiglia Riva, non vi è accenno alcuno ad un loro futuro impegno nello stabilimento di Taranto e della sua attività . Nel testo si legge che «il Governo e il Parlamento hanno riconosciuto il ruolo strategico dell’Ilva nella quale vediamo il presente e il futuro della siderurgia italiana, che vuole coniugare rispetto dell’ambiente e della salute con il lavoro». Vedono nell’Ilva il futuro della siderurgia italiana: come se non fosse di loro proprietà  e se la sua sopravvivenza non dipendesse unicamente dagli investimenti che dovranno essere garantiti attingendo dal tesoro off shore di famiglia. «Non abbiamo mai voluto lasciare Taranto», scrivono i Riva, ma non dicono «non la lasceremo». E in maniera oramai ridondante «ricordano di aver investito in 17 anni nel sito siderurgico 4,5 miliardi». Di questi ingenti investimenti nessuno ha mai visto un riscontro oggettivo. Sostengono di stare «lavorando per assicurare investimenti fiduciosi di riuscirci», ma non accennano ad alcun piano finanziario che certifichi tale promessa. Ai sindacati metalmeccanici è stato detto che il piano dovrebbe essere presentato entro la prima metà  di gennaio. Dunque, tutto è ancora incerto. Nessuno sa cosa accadrà  di qui a breve. 
In più, è ancora tutta da giocare la partita giudiziaria. La Procura e il gip da giorni stanno valutando come muoversi: se sollevare l’eccezione di incostituzionalità , o il conflitto di attribuzione, o entrambe le cose. Non è da escludere che i giudici attendano anche la sede tecnica appropriata in cui attuare le loro iniziative. Potrebbe essere l’8 gennaio al tribunale d’appello, quando si discuterà  il ricorso con cui l’Ilva ha chiesto il dissequestro dei prodotti finiti e dei semilavorati sequestrati lo scorso 26 novembre. Nel caso l’Ilva rinunci, i giudici potrebbero utilizzare comunque quell’udienza per presentare le proprie iniziative. Nei prossimi mesi, quindi, tutto potrebbe nuovamente cambiare.

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