Volantini e bombe, la notte più lunga

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GAZA — La via di scampo sta tra i viali Nasser e Salahaddin nel centro della città  di Gaza. È qui che il volantino in arabo intima di scappare agli abitanti dei villaggi a nord e a est della Striscia, quei cubi di cemento non intonacato che stanno sul percorso di guerra di una possibile invasione israeliana. I jet hanno lanciato le lettere di avvertimento verso il tramonto — «per la vostra sicurezza dovete abbandonare le case immediatamente» — e chi ha potuto se n’è andato subito, i bambini spremuti in auto o sui carretti tirati dai muli. L’agenzia Onu per i rifugiati palestinesi accoglie le famiglie in una scuola, i materassi già  preparati per terra, poche ore dopo l’allarme sono registrati in seicento.
Hamas vuole evitare le scene d’esodo adesso che le trattative potrebbero portare al cessate il fuoco. I portavoce intervengono alle radio, incitano a ignorare quei volantini perché «il popolo di Gaza si fa beffe dell’occupazione». Guerra di parole. La stessa che non smette di combattere Mohammed Deif, tra i fondatori delle Brigate Ezzedin Al Qassam, l’uomo che ha insegnato ai miliziani fondamentalisti a organizzarsi in esercito, il comandante supremo dal quale dipendeva Ahmed Jaabari, ucciso mercoledì scorso all’inizio dell’offensiva.
Deif starebbe su una sedia a rotelle dopo che gli israeliani hanno tentato di ammazzarlo con un missile dieci anni fa. Pochi sanno che volto abbia oggi, così la televisione Al Aqsa trasmette solo la sua voce, dopo la preghiera in moschea di mezzogiorno, in tanti devono sentire: «L’invasione che minacciano ci permetterà  di liberare i nostri prigionieri. Ci siamo addestrati e abbiamo compiuto il primo passo verso la liberazione. Gli ebrei non hanno diritto a neppure un piccolo pezzo della terra di Palestina».
Il messaggio è rivolto anche dentro alla Striscia. Vuol ricordare ai gruppi come il Jihad islamico e i Comitati di resistenza popolare chi comandi. Hamas deve imporsi sulle altre fazioni, garantire che non vengano lanciati missili verso Israele, altrimenti la tregua non può reggere. I dirigenti del movimento sono già  trionfali, vogliono mettere la parola «vittoria» sui sette giorni di conflitto e attribuirla ai loro soldati, alle Brigate Al Qassam. «Abbiamo impartito al nemico sionista una lezione che non dimenticherà », proclama uno di loro all’Ansa.
Con il buio Gaza si svuota. Hassan non vuole più uscire dall’appartamento in uno dei palazzoni bianchi del centro. «Anche se tutti parlano di cessate il fuoco, ho paura che gli israeliani decidano di invadere. È la notte peggiore». Crede di più ai volantini lanciati dagli aerei che alle promesse del presidente egiziano Mohammed Morsi. Dà  retta a quello che gli suggeriscono i botti continui, i missili che partono dalla Striscia e il bombardamento dalle navi israeliane più intenso che mai: i portavoce dell’esercito parlano di venti obiettivi colpiti in poche ore. In volo si alza anche un elicottero, un raggio tracciante illumina il mare poco prima che parta il colpo.
Le gambe del cadavere sono agganciate alla moto, l’uomo mezzo nudo è stato ucciso da un colpo alla testa. Con altri cinque è stato buttato giù da un furgone e freddato davanti alla folla che urla «spie, spie»: l’accusa è di aver passato informazioni all’intelligence israeliana. L’esecuzione sommaria è stata decisa dai miliziani. Senza processo, senza che nessun avvocato abbia mai visto delle prove o parlato con i condannati. Ad Hamas bastano i sospetti.


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