Usa, guerra all’ultimo voto

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NEW YORK â€” I tre giorni più importanti della vita di Barack Obama cominciano con un agguato. Glielo tende Mitt Romney usando una parola pericolosa: «Revenge
». Vendetta. L’ha pronunciata il presidente davanti ai metalmeccanici dell’Ohio, in un contesto legittimo: «Votare è la migliore vendetta per voi lavoratori, se pensate che le ricette dell’altra parte sono contro i vostri interessi». Ma quella parola si carica di scandalo, se un maschio bianco ricco, conservatore e benpensante, della generazione di Romney, la sente in bocca a un nero: ecco che trasuda violenza, evoca proteste rabbiose, incitazione all’odio etnico e di classe. Il repubblicano sale in cattedra, lancia l’accusa: «Non si vota per vendetta, solo per amore del nostro paese». Obama reagisce con durezza: «Il repubblicano si spaccia per imprenditore ma è un venditore, ha confezionato un pacchetto nuovo per rifilarvi politiche vecchie, le stesse che ci portarono alla crisi».
Tutti i colpi sono permessi, ogni stratagemma è lecito per demonizzare l’avversario, nell’ultimo sprint verso il traguardo di martedì. Faziosità , manipolazioni, bugie, sono proporzionali all’altissima posta in gioco, e all’incertezza totale che domina. È difficile trovare nella storia un’elezione presidenziale americana coi candidati così alla pari nei sondaggi. Altrettanto difficile è trovare un’elezione così polarizzata, con due “visioni dell’America” opposte e inconciliabili. Due modelli di società  agli antipodi: sull’idea di cittadinanza e di solidarietà , sul ruolo dello Stato, la libertà  del mercato, la redistribuzione fiscale.
L’ultima speranza al presidente la regala il più autorevole giornale della destra, il Wall Street Journal di Rupert Murdoch. Il suo sondaggio dà  a Obama un vantaggio netto nell’Ohio (51% a 45%), e un vantaggio meno cospicuo ma sorprendente anche in Florida (49 a 47). Se si avvera, il presidente avrà  il secondo mandato in tasca, quei due
sono gli “Stati in bilico” col maggior pacchetto di “voti elettorali”. Sarà  forse per questo che Karl Rove, già  stratega delle due vittoriose campagne di George W. Bush e oggi gran finanziatore di Romney, comincia a mettere le mani avanti: «L’uragano Sandy ci danneggia, ha spostato l’attenzione dai temi del deficit pubblico e dell’economia dove siamo più forti». Ma la cerchia dei consiglieri di Romney parla tutt’altro linguaggio, loro sprizzano ottimismo.
Il sito Politico.com scompone per età , sesso e appartenenza etnica le “vie al successo” di Obama, partendo da un altro Stato-chiave: il Nevada. La conclusione è significativa. Il presidente sarà  rieletto solo se gli riesce una “rivoluzione demografica” nell’elettorato. Obama perderà  certamente fra i bianchi, e anche tra gli elettori indipendenti. Per compensare quel deficit di voti gli tocca stravincere, con margini notevoli, in quattro categorie: neri, immigrati ispanici, giovani, donne celibi. Sarebbe la prima volta che un presidente basa la sua rielezione su un simile mosaico di minoranze. Aggregare questa “nuova maggioranza” ha un vantaggio strategico nel lungo periodo: sono gli elettori del futuro, sono le categorie in crescita. Ma c’è un rischio: sono fasce che tradizionalmente vanno meno alle urne. E infine un’incognita, almeno nel Nevada, è rappresentata dai mormoni che hanno adottato un profilo bassissimo per non disturbare l’offensiva delle seduzione lanciata da Romney (mormone anche lui) verso i protestanti evangelici. Invisibili durante la campagna elettorale, i mormoni voteranno compatti per portare uno dei loro alla Casa Bianca. In Nevada sono il 7% della popolazione ma avranno un tasso di affluenza del 99,9% alle urne.
Sull’affluenza si gioca il risultato al foto-finish, e su questo fronte le notizie non sono così favorevoli al presidente. I primi sondaggi fatti su chi si è avvalso dell’“
early voting” (il voto anticipato e per corrispondenza) rivelano che i repubblicani stanno andando molto meglio che nel 2008; mentre i democratici stanno votando meno rispetto all’elezione di quattro anni fa, segnata dalla “Obama-mania”. Il tour de force del presidente perciò continua fino all’ultimo: oggi sarà  impegnato in tre comizi, tre Stati diversi e tutti in bilico, Wisconsin, Ohio e Iowa, con star musicali al seguito, Bruce Springsteen e Jay-Z.
La posta in gioco è storica e giustifica la definizione dei «tre giorni più importanti nella vita di Obama» coniata da Newsweek.
Certo, Obama ha già  un posto assicurato nella storia come primo presidente nero. Ma gli americani sono severi con i presidenti “di un solo mandato”, che finiscono relegati nella categoria dei perdenti. Il secondo mandato gli darebbe una statura diversa, anche perché con ogni probabilità  sarebbe segnato da una netta ripresa economica. Obama potrebbe ambire allora a diventare “il nuovo Roosevelt”. Senza l’assillo della rielezione, potrebbe tentare riforme più audaci. Se invece perde, sarà  Romney ad appropriarsi della ripresa, e a riscrivere la storia attribuendo ogni merito alle sue politiche neoliberiste.


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