Una bomba d’acqua letale

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Ma la fotografia simbolo della gigantesca bomba d’acqua caduta in 48 ore a macchia di leopardo su Liguria, Toscana, Umbria e Lazio è quella che ritrae il paese maremmano di Albinia, sommerso da due metri d’acqua a causa dell’esondazione del fiume Albegna, con almeno 700 persone evacuate con le barche e i gommoni dei soccorritori. Un migliaio di vigili del fuoco e le forze della protezione civile si stanno prodigando senza sosta in tutta la fascia costiera delle province di Grosseto e Viterbo, lungo una statale Aurelia anch’essa impercorribile con alcuni tratti spazzati via dalla forza dell’acqua, e fra strade secondarie impraticabili o quasi.
Si lavora a soccorrere la popolazione in piccoli centri che si chiamano Borgo Carige, Chiarone Scalo, Torre Palazzi e Manciano, e nei più conosciuti Orbetello, Capalbio e Marina di Montalto. Chiusa la linea ferroviaria tirrenica nel tratto fra Orbetello e Grosseto, esodati anche i fiumi Elsa, Chiarone, Canale di Capalbio, Canale di Talamone e Ombrone, solo per restare all’area tosco-laziale. Mentre in Umbria sono esondati i fiumi Paglia, Nestore, Chiani e anche il Tevere, allagando le campagne, molti piccoli centri e anche pezzi di città , come accaduto a Orvieto e alla zona commerciale dello scalo ferroviario di Orte. Nel complesso gli sfollati nelle zone colpite dalla perturbazione sono alcune migliaia, fra case allagate e frane e smottamenti che hanno reso inagibili le abitazioni.
Alla prima vittima di lunedì, un pensionato di 77 anni travolto con la sua auto dalle acque nei pressi di Capalbio, se ne sono purtroppo aggiunte altre tre. Erano tecnici dell’Enel della centrale geotermica di Larderello, che stavano tornando a casa su un’auto aziendale dopo un corso a Roma. A Paolo Bardelloni, 59 anni, Antonella Vanni, 48 anni, e Maurizio Stella, 47 anni, è stato fatale il passaggio sul ponte San Donato a Marsiliana, nel grossetano. Secondo la ricostruzione dei tecnici il ponte non ha ceduto ma la piena del fiume Albegna ne ha eroso la pavimentazione, creando una voragine di dieci metri nella quale l’auto è precipitata. “La strada che portava al ponte – ha spiegato Massimo Luschi della protezione civile di Grosseto – era chiusa già  dalla notte precedente, come molte altre». Le indagini della magistratura potranno spiegare quanto accaduto in una giornata peraltro terribile come quella di lunedì scorso, dove viaggiare in auto in tutta la Maremma esponeva a un rischio continuo.
Per comprendere la violenza della perturbazione, alcuni dati raccolti dai meteorologi: in poche ore fra Sarzana, Carrara e Massa, anch’esse in parte allagate, sono piovuti 180 millimetri di acqua. Mentre nelle altre aree sono scesi dai 200 fino addirittura ai 400 millimetri di acqua, quanta abitualmente ne piove in sei mesi. «Eventi del genere avvengono ormai ogni anno – avverte il climatologo Giampiero Maracchi – mentre in passato accadevano ogni venti, trent’anni. Per giunta l’intensità  delle piogge di questi giorni è stata superiore anche di nove volte a quella di una precipitazione “normale”».
Intervistato dal Tg3 regionale, il geologo massese Renato Fantoni tira le somme di quanto accaduto: «Nonostante gli interventi di ripristino, è la terza volta in tre anni che ci troviamo di fronte a fatti del genere. Non se ne viene fuori, se non si ragiona nella dimensione dell’assetto complessivo del territorio».
Dal presidente toscano Enrico Rossi, infaticabile nelle zone colpite dal disastro, arriva l’ennesimo appello al governo Monti: «Siamo abituati a fare da soli ma questa volta chiediamo un aiuto vero. Torno a chiedere che nella legge di stabilità  ci sia una legge speciale che assicuri alla Toscana 50 milioni l’anno per dieci anni, per la messa in sicurezza contro il rischio idrogeologico e idraulico. Una legge specifica come per l’Emilia Romagna, per gestire l’emergenza e la ricostruzione, ma soprattutto per la prevenzione. Questa sarebbe la vera spending review».
Sulla stessa linea il capo della protezione civile Franco Gabrielli: «Per evitare al paese di cadere a pezzi più di quanto stia già  cadendo, c’è solo una soluzione: un programma serio per la messa in sicurezza, un intervento con investimenti non eclatanti ma certi per almeno dieci anni. In Italia ci sono tragedie ogni volta che piove perché molti – istituzioni e cittadini – hanno abusato del territorio e nessuno ha investito per metterlo in sicurezza. Perché si preferisce pagare i danni piuttosto che investire per prevenirli. È vero che le risorse sono poche. Ma è anche vero che basterebbe spendere in prevenzione quello che ogni anno viene speso per riparare i danni»


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