Un segretario tranquillo affronta un’offensiva destinata ad inasprirsi
Da questo punto di vista, quanto è accaduto domenica rappresenta un successo. Le parole offensive e irridenti del comico Beppe Grillo e del suo Movimento 5 Stelle vanno interpretate come un gesto di nervosismo di fronte a oltre tre milioni di persone in fila per votare: un passo falso che il segretario del Pd, Pier Luigi Bersani, non manca di sottolineare. «Queste uscite sprezzanti», dice, «sono francamente incomprensibili».
Ma di qui al ballottaggio di domenica si preannuncia uno scontro con spruzzi di veleno, tutto interno. Bersani ha avuto il 44,9 contro il 35,5 del sindaco di Firenze, Matteo Renzi, il quale ha interesse a radicalizzare lo scontro; e dunque ad alzare i toni che gli hanno fatto raggiungere un risultato di peso. Al segretario che gli contesta garbatamente di parlare del Pd definendo i propri seguaci «noi» e gli altri «loro», Renzi replica rivendicando questo lessico perché ormai «si tratta di un aut aut». Nelle sue parole, l’alternativa sarebbe «fra usato sicuro e innovazione». Si tratta di uno schema destinato a lasciare una coda di malumori, nel Pd; ma al quale Renzi non può e non vuole rinunciare, spinto dalla voglia di «andare a caccia» degli elettori dei tre candidati esclusi dal ballottaggio: Nichi Vendola, Laura Puppato e Bruno Tabacci.
I prossimi giorni delineano la sfida fra un segretario che sa di avere ottime probabilità di successo, e dunque sceglie un profilo inclusivo e sornione; e uno sfidante che gioca su un linguaggio duro al limite della provocazione, per seguire il filone del picconatore fino in fondo. Anche se Renzi ora fa notare di avere vinto in alcune realtà locali governate dalla sinistra: vuole correggere la silhouette di candidato «di destra». Eppure, parte della sua affermazione si deve proprio allo spazio che il Pd e Vendola gli hanno lasciato sul versante moderato.
Renzi si è potuto presentare come il nemico dell’apparato e il difensore dell’agenda del governo di Mario Monti, presidiata negli ultimi mesi a intermittenza dai vertici del partito. Su quel fianco Bersani ha permesso che si creasse un vuoto, riempito abilmente dal sindaco di Firenze. Adesso che deve conquistare voti a sinistra, però, Renzi invita a guardare i consensi ottenuti nelle cosiddette «regioni rosse». Insinua qualche dubbio di «errore» nel conteggio dei voti di domenica, chiedendo che i verbali dei risultati «vengano messi online». E intensifica quello che Bersani definisce «fuoco amico». In realtà , l’alleanza con Vendola garantisce al segretario margini di manovra che il suo avversario faticherà a bilanciare.
Renzi punta dunque sulla conflittualità per giocare il tutto per tutto; o per uscire da sconfitto ma con il profilo da leader di partito agli antipodi rispetto a Bersani. La tesi che il «primo cittadino» di Firenze cerca di accreditare è che una sua vittoria alle primarie renderebbe più facile un successo alle elezioni politiche di marzo: saprebbe pescare, assicura, anche fra i delusi del centrodestra. Ma se esiste un problema di credibilità all’estero per l’eventuale successore del premier Mario Monti, la breve storia politica di Renzi rischia di confermare le perplessità internazionali nei confronti dell’Italia postelettorale.
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