by Sergio Segio | 18 Novembre 2012 9:23
Questo è uno snodo politico importante. L’austerità non è una punizione degli dei per redimerci da passati peccati, ma è una scelta che dipende da una diagnosi sbagliata della crisi a cui seguono cure nefaste. C’è della malafede in questo: si colpevolizza la gente comune di aver «vissuto sopra i propri mezzi», troppo stato sociale e diritti lavorativi, per far fuori questi ultimi.
Non è vero, invece, che le origini della crisi siano nella dissipatezza fiscale dei paesi mediterranei. Il debito pubblico italiano è per esempio assai più antico dell’euro; Portogallo e Italia hanno adottato politiche di bilancio assai prudenti. In Spagna e Irlanda l’indebitamento è stato soprattutto privato, dovuto a bolle immobiliari sostenute dai capitali del nord europeo. Ciò è accaduto anche in Grecia, dove le politiche di spesa del centrodestra spiegano solo in parte l’indebitamento. La Germania, dal canto suo, si è copiosamente avvantaggiata di questi eventi prestando capitali ed esportando allegramente verso il sud europeo. I paesi del sud, infatti, non tanto hanno perduto competitività , quanto sofferto dall’aver offerto un mercato alle merci tedesche senza averne uno in cambio. I salari reali spagnoli e italiani non sono, per esempio, aumentati negli anni dell’euro. Questo senza assolvere i Pigs dai tanti compiti a casa, i quali hanno però bisogno di crescita per essere svolti.
L’austerità sta con tutta evidenza devastando le economie dei Pigs: le imprese chiudono; sanità e istruzione pubblica arrancano; la disoccupazione trasformerà generazioni di giovani in zombie senza futuro. Questo a fronte di finanze pubbliche che peggiorano, e pour cause visto che si fa l’opposto di quello che si dovrebbe fare: politiche anti-austerità . Possiamo ben dire che a questo punto l’austerità è la causa principale della crisi.
Quello che indigna è che soluzioni di buon senso ci sono, per esempio nel coordinamento della politica monetaria e fiscale: la Bce ha il potere di portare i livelli dei tassi di interesse sui titoli pubblici ai livelli pre-crisi – dato che sono le banche centrali a fare i tassi, a meno che i mercati vengano lasciati agire come sinora. Va poi fissata una regola fiscale, e questa non può che essere una regola anti-austerity, una condizionalità keynesiana: i paesi europei dovrebbero impegnarsi a stabilizzare i rapporti fra debiti pubblici e Pil. Questa regola associata a bassi tassi di interesse sarebbe compatibile con politiche fiscali espansive, dunque di sostegno a domanda e occupazione.
La possibilità di vie d’uscita razionali accresce l’indignazione per l’ignoranza e cattiva fede di chi ci guida, confermando come l’appellativo di indignados sia quanto mai azzeccato. Mentre esso è stato però rivolto sinora verso gli arricchimenti di politici e finanzieri, iniziative come quella di Madrid volte a rendere patrimonio comune i ragionamenti suesposti, danno al termine un senso ancora più cogente: l’indignazione dell’intelligenza verso visioni oscurantiste dell’economia. Crediamo che la riappropriazione di massa delle tematiche economiche, i particolare da parte dei giovani, sia uno strumento essenziale per la nostra lotta.
L’originalità di questo incontro, che cade in un periodo ricco di iniziative a livello europeo, come Firenze 10+10 e il primo sciopero generale del 14 novembre, è nel provare a intessere un’analisi condivisa della situazione economica a partire dai paesi Pigs destinatari di ricette a taglia unica e ancora non del tutto in grado di elaborare proposte e lotte comuni.
Questi obiettivi non possono infine prescindere da una rilettura della modalità con cui la scienza economica si trasmette all’interno delle Università , come fa un recente appello di studenti ed economisti (Retedellaconoscenza.it) volto a rivendicare quella dimensione storico-sociale che la scienza economica dominante non è in grado di assicurare.
* Università di Siena
** Responsabile Economia Rete della Conoscenza
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