by Sergio Segio | 13 Novembre 2012 9:44
È IL Manifesto dei super eroi Marvel con facce scambiate. Renzi uomo torcia, Vendola mister Fantastic, Tabacci da Silver Surfer, Bersani e Laura Puppato rispettivamente la Cosa e la Donna Invisibile, s’immagina senza ironia. Poi si lamentano quando Grillo usa i nomignoli e chiama il segretario del Pd Gargamella. Con questa pena nel cuore, abbiamo seguito il primo e forse ultimo confronto televisivo fra i candidati alle primarie. Per fortuna, migliore dell’annuncio. Ha vinto Matteo Renzi, molto più in palla e a proprio agio con le regole americane del confronto di quanto non siano parsi i rivali. A cominciare da Pierluigi Bersani, che sembrava il Barack Obama del primo confronto televisivo contro Romney, opaco e verboso. Con la differenza che Obama avrebbe poi recuperato nei successivi duelli, mentre qui non è prevista una rivincita.
In un certo senso non poteva che vincere Renzi. Anzitutto perché questi confronti televisivi aiutano quasi sempre l’inseguitore. A parte il dato generale, il giovane sindaco di Firenze ha usato meglio gli strumenti messi a disposizione di un format televisivo inedito per l’Italia e molto più simile alla comunicazione in rete che non al rito dei talk show politici di questi anni. Il tempo scandito di un minuto, uno e mezzo, favorisce quelli bravi a twittare e a chiudere la risposta con uno slogan, come Renzi ha fatto quasi sempre, anche quando in realtà non rispondeva nel merito alle domande. Lo slogan più efficace: «A un giovane direi che questo sarà un Paese dove trovi lavoro se conosci qualcosa e non se conosci qualcuno».
Renzi è alto, giovane, bello e occupava (per caso) il centro della scena, per inciso la stessa di «X Factor». Dettagli superficiali, quindi decisivi in tv. In più il giovane Renzi ha sfruttato bene il vantaggio di poter fare promesse che gli altri candidati, su piazza da molto più tempo, finora non hanno realizzato. Soprattutto sul tema caldo dei privilegi della politica. Forse non le realizzerà nemmeno lui, ma gli elettori ancora non lo sanno.
Renzi è stato debole soltanto sui dati, ma per sua fortuna lo sono stati anche gli avversari. Sull’intero dibattito, che probabilmente non sposterà le percentuali di voto, aleggiava un certo pressapochismo spannometrico, intollerabile in un duello televisivo stile Usa. In particolare sono state inefficaci le risposte sulla lotta all’evasione fiscale, in un Paese dove ogni anno si consuma una guerra civile fra chi si svena per pagare 300 miliardi di tasse e chi s’ingegna per evaderne 200 miliardi.
Ha trionfato la sloganistica, dove è stato abile anche Nichi Vendola, quando ha definito l’Imu sulla prima casa «una patrimoniale sui poveri», sui diritti civili e nell’intemerata contro Sergio Marchionne. Bersani ha giocato la carta dell’esperienza e della competenza, ma nel complesso è parso un po’ troppo accigliato, quasi arcigno, e a disagio nel format, che gli stroncava nel mezzo le celebri metafore, il discorso ellittico e insomma tutto il repertorio classico del bersanese. Un’avvertenza per Bersani, Puppato, Tabacci e altri futuri candidati del confronto all’americana. Quando è stabilito un tempo per la risposta, sforare sistematicamente è un errore grave, viene percepito come una truffa dal pubblico a casa. Nonostante gli anni di consuetudine al pollaio televisivo.
A proposito della formula. Bisognerà farci l’abitudine. Le regole rigide, anglosassoni, sono un po’ macchinose, tanto più in presenza di cinque candidati. Ma hanno lati positivi e perfino affascinanti. Ci si può concentrare sui candidati e non sull’ego arroventato del conduttore, che di solito decide il titolo e lo svolgimento del tema. Michele Santoro, il più bravo di tutti, ha appena organizzato una trasmissione di tre ore per spiegare che se Di Pietro incassa 45 milioni di euro destinati all’Idv tramite una società sua e della moglie, si tratta comunque di un complotto di Napolitano. All’ottimo telegiornale di Sky va in ogni caso riconosciuto il merito di aver introdotto nella tele politica nostrana un tratto serio, onesto e civile. Ancora un paio di esperimenti di questo genere e il talk show politico all’italiana sarà morto e sepolto, senza rimpianti.
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