Ue, la recessione spaventa le Borse ma in Usa spiragli sul fiscal cliff

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NEW YORK â€” L’avvio incoraggiante delle trattative alla Casa Bianca sul “fiscal cliff” – il burrone fiscale in cui l’America rischia di cadere a fine anno, provocando una nuova recessione – ha permesso a Wall Street di invertire, almeno nella seduta di ieri, quella tendenza al ribasso che nelle ultime due settimane aveva fatto perdere il 4,3% all’indice S&P500. Investitori e analisti hanno apprezzato sia il clima costruttivo e bipartisan in cui si è svolto il primo incontro di 90 minuti tra Barack Obama e i leader parlamentari dei due partiti, che le dichiarazioni concilianti di questi ultimi dopo la riunione. Il presidente repubblicano alla Camera, John Boehner, e il capogruppo del partito al Senato, Mitch McConnell, si sono detti disposti a discutere anche di un aumento delle entrate, cioè delle tasse, che finora avevano sempre respinto, specie durante la campagna elettorale di Mitt Romney. Harry Reid, il capogruppo democratico al Senato, che era accompagnato dalla collega alla Camera Nancy Pelosi, ha promesso che «entrambe le parti avrebbero ceduto su qualcosa» e «non avrebbero aspettato fine anno» per trovare un accordo.
Tutte parole, queste, che sono state accolte con favore dai mercati. Superata infatti la fase più critica della “emergenza eurozona” e risolta l’incertezza sulle presidenziali americane, il “fiscal cliff” è ora il fantasma cattivo che si aggira nelle piazze finanziarie del mondo, spaventando gli operatori e influenzando gli indici. Anche ieri, prima dell’incontro a Washington, le borse europee hanno perso quota: con Milano (la peggiore) a -2,02 per cento e le altre a poca distanza (Parigi -1,21 per cento, Londra -1,27, Francoforte -1,32). Qual è il loro timore? Che il Congresso americano, uscito diviso dalle elezioni del 6 novembre – che hanno dato ai democratici la maggioranza al Senato e alla destra quella alla Camera – non riesca a trovare una soluzione al debito pubblico, ormai a livelli record.
Senza un accordo tra i due partiti, scatterebbero le misure automatiche decise l’anno scorso di aumento delle tasse e di tagli massicci alle spese, che di sicuro bloccherebbero la timida ripresa in atto. E senza l’accordo, gli Stati Uniti rischierebbero anche un declassamento del rating. Ma come bilanciare i conti senza cadere in recessione? I democratici pretendono, anche per ragioni di equità , un aumento delle tasse per il 2% più ricco della popolazione: coloro che guadagnano 250mila dollari all’anno (200 mila euro). Per loro, dicono, non dovrebbero essere prorogate le aliquote massime del 35% (invece del 39,6), varate negli anni di George Bush. I repubblicani chiedono invece di ridurre le spese pubbliche, specie quelle mediche e assistenziali. E’ chiaro che la manovra sui conti pubblici andrà  fatta sia dal lato delle entrate che delle uscite. Ma solo adesso, in un clima più sereno dopo le presidenziali, i due partiti sono disposti a trovare una soluzione, anche perché i repubblicani – sconfitti si rendono conto dei rischi di tirare troppo la corda a vantaggio dei ceti più abbienti e di perdere così per sempre una fetta consistente dell’elettorato. Il negoziato sul “fiscal cliff” riprenderà  dopo il ritorno di Obama da un viaggio in Asia. Ma già  da ieri l’atmosfera a Wall Street è più calma, grazie anche al netto rialzo di Facebook. L’indice S&P500 ha guadagnato lo 0,48%.


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