Trieste, in piazza la “rivolta degli ombrelli”

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TRIESTE — Sono venuti in tanti, sotto il temporale, a manifestare contro le procedure di esproprio avviate all’improvviso dal governo per realizzare a Trieste il rigassificatore più contestato del Mediterraneo, con una mossa che dribbla il parere negativo degli enti locali, del porto, della comunità  scientifica e persino le obiezioni ambientali espresse dalla Slovenia. In quella che passerà  alla storia come “la protesta degli ombrelli”, la città  “cara al cuore” è scesa in piazza a dire “no”, in una scenografia da tregenda.
Nel palazzo del municipio, dove i fulmini hanno fatto mancare più volte la luce, si sono viste le istituzioni declinare in un’aula strapiena la loro impotenza di fronte alla Waterloo occupazionale del territorio (tema all’ordine del giorno); e intanto fuori, nella tempesta, Trieste chiedeva che si parlasse d’altro, che prima di tutto si rispondesse alla decisione di dar via libera a un impianto, firmato dalla spagnola Gas Natural, che — con il traffico delle sue immense gasiere — rischia, dice chi sa di marineria, di bloccare per sempre lo sviluppo del porto.
«Se passa questo, prepariamoci a tutto, anche a un acceleratore di particelle sotto il Vaticano» ride ma non troppo uno studente di fisica. Sotto la pioggia c’era una Trieste stanca di sconfitte, di cantieri chiusi, di collegamenti tagliati, di patrimoni pubblici spolpati; un magma di rabbia ancora privo di leadership, fatto di vecchi e giovani, ecologisti, indipendentisti, delusi da Roma matrigna, nostalgici dell’Austria- Ungheria e un arcipelago di “arrabbiati” di quasi tutti i partiti politici.
Sotterraneo e guardingo il partito dei favorevoli, attenti a non urtare la piazza. Meno timorosi i tecnici: dirigenza dei Vigili del fuoco, industriali, ingegneri, soprattutto i funzionari regionali che hanno approvato la valutazione di impatto ambientale. Come Pierpaolo Gubertini, responsabile del procedimento, che si chiude nel “no comment” ma solo dopo aver fatto capire al Comune che le nuove documentazioni fornite da Gas Natural sono tali da tranquillizzare sui possibili incidenti a catena e anche sulla manovrabilità  delle navi in condizioni estreme.
Per la cittadella scientifica locale, Trieste resta intanto un posto proibito per l’impianto, e alle sue ripetute obiezioni la Gn ha risposto evasivamente con progetti spesso segnati da irregolarità  o citazioni di istituti scientifici mai davvero chiamati in causa. L’obiezione principale è che mettere un rigassificatore in fondo a un mare chiuso, usando e sterilizzando quelle acque per riscaldare il combustibile liquido trasportato a -162 gradi, significa condannare quel mare all’agonia. Lo dimostrano le schiume diffuse da analogo impianto alle foci del Po; e lo conferma il rigassificatore di La Spezia, dove il costo del riscaldamento non è scaricato sull’ambiente ma preso dall’energia dello stesso gas. Un circuito chiuso, che Gas Natural ha scartato solo per questioni di risparmio.
Oggi nel mondo nessuno costruisce più simili impianti nelle città . Qui lo si propone invece a pochi metri da rioni popolosi, accanto a depositi di carburante, terminal petroli e un inceneritore, con navi come montagne cariche di gas che in manovra, a causa delle prescrizioni di sicurezza, metterebbero in crisi uno spazio già  occupato dai traffici commerciali. Lo stesso dove quarant’anni fa ebbe inizio la stagione mondiale del Terrore con l’attentato di Settembre nero ai depositi di carburante di Trieste, la cui colonna di fumo fu vista fino a Venezia.
Dopo un percorso a ostacoli di sette anni, tutto è precipitato in poche ore, quando il ministero dello Sviluppo economico — forte di un decreto che esautora gli enti locali dalle decisioni energetiche — ha incassato un’assai anomala autorizzazione ambientale da parte della Regione. La quale non solo ha ignorato il parere contrario degli enti locali presenti all’incontro, ma ha clamorosamente certificato nei verbali un’unanimità  inesistente. Il Comune ha già  avviato ricorsi contro la forzatura tecnica che — ha osservato il sindaco del Pd, Roberto Cosolini — toglie le castagne dal fuoco alla giunta regionale di centrodestra, risparmiandole decisioni impopolari
in vista delle elezioni. Ma è stata proprio questa mossa incauta a far traboccare il vaso, e in poche ore nel circuito twitter, su facebook e sulla tribuna del quotidiano
Il Piccolo la tensione è salita al calor bianco, anche sul lato sloveno del Golfo.
E intanto, da Roma a Bruxelles, il governo si attiva — si dice — per chiudere in fretta la partita anche con promesse a Lubiana, peraltro vigile a difesa dell’integrità  ambientale dei suoi trenta chilometri di costa. Una gran fretta insomma, spiegabile col timore di Gas Natural di non avere più gli stessi favorevoli interlocutori al governo. Arduo trovare in queste ore un politico capace di dirsi a favore. Anche il presidente della Regione, Renzo Tondo, dopo aver dato più volte il suo ok all’impianto, lì nel municipio assediato dal monsone e dai fischietti dei manifestanti, in mezzo a ripetuti blackout e principi di tafferuglio sedati dai vigili, ha dichiarato che «la partita non è affatto chiusa» e ha ricordato all’aspirante governatrice del Pd Deborah Serracchiani che l’iter del rigassificatore aveva preso avvio in Regione dalla giunta Illy di centrosinistra, che aveva come assessore l’attuale sindaco di Trieste Cosolini.
«Senza bandiere e partiti ma solo per Trieste», così recit« lo striscione portato da due giovani sotto il nubifragio. «Corteo bagnato corteo fortunato » commentano altri reduci della protesta, ma a Trieste ancora nessuno sa chi vincerà  la partita.


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