Stragi di mafia, arrestato l’uomo del tritolo

by Sergio Segio | 13 Novembre 2012 8:47

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FIRENZE — A vent’anni dagli attentati di Capaci e di via d’Amelio e a 19 da quelli di Roma, Firenze e Milano, è stato identificato l’uomo che, secondo le accuse, ha fornito a Cosa Nostra gran parte dell’enorme quantità  di esplosivo usato per la campagna stragista del ‘92-’94. Non si tratta di un esperto artificiere né di un elemento dei servizi deviati, bensì di un modesto pescatore di Santa Flavia (Palermo), che nelle reti catturava non solo pesci ma anche mine, siluri, bombe di aereo inesplose, da cui poi veniva estratto il tritolo. Si chiama Cosimo D’Amato, ha 57 anni, ed è cugino di Cosimo Lo Nigro, già  condannato all’ergastolo per strage, appartenente alla famiglia di Corso dei Mille e al mandamento di Brancaccio.
D’Amato è stato arrestato a Palermo dagli uomini della Direzione investigativa antimafia. Il procuratore di Firenze Giuseppe Quattrocchi, i pubblici ministeri Alessandro Crini e Giuseppe Nicolosi e il gip Anna Favi lo accusano di aver «fornito in modo continuativo l’esplosivo usato per le stragi del ‘93, proveniente da recuperi in mare di ordigni bellici». È stato calcolato che per armare le autobombe esplose a Capaci, in via d’Amelio a Palermo, in via de’ Georgofili a Firenze,
in via Palestro a Milano, davanti alle chiese di San Giovanni in Laterano e San Giorgio al Velabro a Roma, oltre a quella che fortunatamente non saltò in aria allo Stadio Olimpico, siano stati utilizzati fra i 1.280 e i 1.340 chili di esplosivo, in gran parte tritolo. Quasi tutto, secondo le accuse, proveniva dal pescatore di Santa Flavia, poi triturato in una «molazza», ridotto a sabbia e compresso in forme simili a quelle del parmigiano.
Già  nel corso dei processi per le stragi, che si sono conclusi con decine di ergastoli, gli esperti avevano rilevato la sostanziale identità  di composizione chimica di tutte le bombe usate nel ‘92 e nel ‘93 e ipotizzato che il tritolo provenisse dallo scaricamento di ordigni militari finiti in fondo al mare durante la guerra e recuperati dai pescatori. Ipotesi confermata dai pentiti Pietro Romeo e Salvatore Grigoli, che avevano parlato di un pescatore che forniva gli ordigni, senza però riuscire ad identificarlo. È stato Gaspare Spatuzza, ritenuto dagli inquirenti fiorentini fonte preziosa e del tutto attendibile, a fornire i dettagli utili per l’individuazione del fornitore e a ricostruire una serie di «carichi», il primo dei quali risalente all’aprile ‘92, un mese prima della strage di Capaci.

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