Si riaccende il conflitto tra i due Paesi africani

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Si riaccende in Africa l’eterna lotta tra il topolino e l’elefante. Tra il piccolo Ruanda e l’immenso Congo. Solo che questa volta il primo ha ruggito e ha fatto fuggire le truppe disilluse del secondo: un gigante ammalato. I lampi di un conflitto per procura riaccendono vecchi rancori, agitano i fantasmi di un genocidio mai placato, rilanciano la corsa per la conquista di territori ricchi di materie prime (coltan in testa) vitali alla tecnologia cinese e giapponese. Goma, capitale del Kivu del Nord, città -simbolo del più grande esodo di profughi, cuore della regione orientale della Repubblica democratica del Congo, è stata conquistata da una milizia ribelle di ex soldati congolesi raggruppati attorno al Movimento 23 Marzo (M23). Nemmeno i caschi blu della Monuc, la più longeva e costosa missione di pace dell’Onu, hanno avuto la forza di opporsi a una milizia formata da meno di mille soldati.
Dopo mesi di sporadiche sparatorie, l’M23 ha sopraffatto i drappelli dell’esercito regolare di Kinshasa (Fardc), è entrato in città , ha preso l’aeroporto e occupato il villaggio di Gisenyi, il posto di frontiera con il vicino Ruanda. Anche un gruppo di italiani è rimasto bloccato prima di essere portato in sicurezza. Si è parlato di scontri e distruzioni. Ma tutte le testimonianze che abbiamo raccolto, confermate dalle agenzie, raccontano una storia diversa. Non si è sparato un solo colpo, i soldati congolesi sono fuggiti verso est, la missione Onu si è limitata ad osservare l’arrivo delle milizie.
Guidati dal generale Sultani Makenga, ex ufficiale dissidente congolese, accusato dalle organizzazioni umanitarie di «orrori in grande scala», i combattenti hanno posto un ultimatum al governo di Kinshasa chiedendo il ritiro da Goma dei 20mila soldati delle Fardc. La proposta è stata respinta. Ma le truppe, di fatto abbandonate dal governo centrale lontano 1200 chilometri, sono fuggite. Il presidente della Rdc Joseph Kabila ha invitato il paese alla mobilitazione. La Francia ha invocato delle sanzioni contro Kigali, sospettata di essere dietro i ribelli. È stato convocato a Kampala un vertice d’emergenza della Conferenza internazionale delle regioni dei Grandi Laghi (Cirgl). Si teme che il conflitto possa allagarsi ai paesi vicini.
Come era accaduto nel 2009 con il generale Laurent Nkunda, il Ruanda è accusato di sostenere l’M23. Accuse ribadite in un recente rapporto di una ong Usa presentato all’Onu. Kigali ha smentito con forza. A dividere il topolino dall’elefante africani ci sono le  responsabilità  sul genocidio del 1994 che provocò un milione di morti tra tutsi e hutu moderati. I protagonisti di quell’orrore, arruolati tra le fila delle milizie “interawne” (estremisti hutu), sono poi riparati in Congo dove, tra sostegni e rifiuti, hanno continuato a vivere di razzie. Ma la loro presenza ha rappresentato sempre un pericolo per Kigali, impegnata a ricucire una ferita ancora aperta. Il rancore dei congolesi, sconfitti nelle due grandi guerre del secolo scorso con il Ruanda e l’Uganda, ha continuato a covare. Si è accanito sui soldati tutsi arruolati nell’esercito regolare. Sono aumentate le diserzioni e le defezioni. Kigali ne ha approfittato. Ha visto con simpatia la rivolta di uomini che appartengono alla stessa etnia al potere che rivendicano il territorio in cui sono nati. Quello che hanno conquistato in queste ore e apre le porte per nuovi contratti di estrazione nel sottosuolo più ricco del pianeta.


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