SEPULVEDA “Gatti, topi e bambini la mia nuova favola sulla forza dell’amicizia”

by Sergio Segio | 10 Novembre 2012 7:53

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«MI PIACE raccontare storie con personaggi che sembrano opposti. Mai nemici però, in nessun caso… El enemigo existe solamente como una invencià³n humana.
Qui, in un libro dedicato ai miei cinque nipotini, ho voluto rispondere a una domanda che mi hanno fatto più volte: “Perché vuoi tanto bene ai tuoi amici”».
«Ho cercato di dare una risposta, spiegando che l’amicizia supera ogni differenza, è qualcosa che ci unisce e ci rende migliori».
Luis Sepàºlveda ha scritto una nuova incantevole favola per bambini di ogni età . I personaggi sono tre e hanno nomi monosillabici, bizzarri, divertenti: Mix, Max e Mex – un gatto, il suo giovanissimo “padroncino”, e un topo.
Chi può aver dimenticato la Storia di una gabbianella e del gatto che le insegnò a volare, un longseller da due milioni di copie vendute solo in Italia, poi un film di Enzo D’Alò con un incasso da dodici miliardi di lire… A sedici anni da quell’exploit, è ancora Guanda a pubblicare la Storia di un gatto e del topo che diventò suo amico, titolo più discorsivo rispetto a quello originale (Historia de Mix, de Max, y de Mex), con un rimando immediato al racconto di enorme successo della “Gabbianella”. Non solo un trucchetto di marketing, perché è un apologo dell’amicizia che ripropone il nonno Sepàºlveda, “il cileno rosso”, la guardia del corpo del presidente Allende, l’autore naturalizzato francese, il militante di
Amnesty International e di Greenpeace ormai di casa in Spagna – a Gijà³n, una città  sul mare nelle Asturie. È lì che Sepàºlveda dirige il Salà³n del Libro Iberoamericano ed è lì che il 4 ottobre ha festeggiato i suoi 63 anni.
Che racconta la nuova Historia?
A Monaco di Baviera il piccolo Max cresce con il suo amato gatto nero, petto bianco e occhi gialli. A diciott’anni decide di vivere solo in una nuova casa, con il “suo” Mix, prendendosene cura anche con quando il bel gatto dal profilo greco perde la vista ma non lo spirito da avventuriero. Col tempo il lavoro lo porta spesso fuori e Mix si sente solo. Ma un bel giorno ecco che appare un topo “messicano” dalla vocetta stridula, triste perché mai nessuno gli ha dato un nome. Mix prima lo blocca con una zampa, ma poi lo lascia andare, ne condivide allegrie e malinconie. Lo chiama Mex. Diventano amiconi, compagni di fantastiche scorribande, di salti da un tetto all’altro, perché «Mix vide con gli occhi del suo piccolo amico e Mex fu forte grazie al vigore del suo amico grande».
Seà±or Sepàºlveda, ancora una celebrazione dell’amicizia… Perché è un sentimento, un legame così importante, per lei?
«Insisto sull’amicizia come valore supremo. Noi mettiamo su famiglie e universi emozionali fatti di amici. I nostri figli crescono, volano via con le loro ali, e quando si allontano da noi, rimane l’amore reciproco, ma il nostro grande rifugio sono gli amici».
Perché, a tanti anni di distanza dalla “Gabbianella”, ha sentito il bisogno di ricorrere allo stesso stile così fresco, diretto, coinvolgente, e solo apparentemente
“semplice”?
«È difficilissimo scrivere per i bambini, per loro che amano il linguaggio diretto e privo di ambiguità . È una grande sfida, ma io amo le sfide… Come tutti i miei libri, anche questo è nato da qualcosa che ho visto, ho vissuto, ho sentito, che mi ha emozionato. Tempo fa, il mio nipotino Daniel aveva in mano una lumaca, la osservava, e all’improvviso mi ha chiesto “Nonno, perché la lumaca è così lenta?”. Non ho saputo cosa diavolo dire. Avrei potuto accennare a qualcosa sulla motricità  dei molluschi invertebrati, o se fossi stato Borges avrei sentenziato: “È lenta perché sa da dove viene e sa dove va…”. Ma il mio nipotino si aspettava una risposta del tutto diversa, direi poetica: ne abbiamo fatto il cuore di molte nostre conversazioni e forse di qualche sogno. Ho cominciato allora a scrivere qualcosa sulla lentezza, un argomento che però non c’è in questo libro. Non ancora riesco a spiegare in modo poetico la ragione per cui una lumaca è lenta. Magari un giorno troverò la risposta adeguata».
Qual è la più decisa affinità  tra la “Gabbianella” e questa nuova favola, e qual è invece la differenza?
«L’affinità  più evidente è l’amicizia che si stabilisce – dopo una grande diffidenza iniziale – tra il gatto Zorba e una gabbianella e ora tra Mix e Mex, un gatto e un topo. La differenza? Quella era una storia corale, mentre questo è come un concerto da camera».
Tra i suoi riferimenti letterari ci sono Cervantes e Hemingway, ma anche il nostro Salgari… Quando scrive per piccoli lettori, chi la influenza in particolare?
«Le suggestioni letterarie sono molte e – come dire – mi vanno bene tutte. In questo caso però ha contato soprattutto il ricordo di un vecchio cieco, un narratore orale che ho conosciuto anni fa nei campi di Tinduf in Algeria, cittadino di un paese che esiste solo per il desiderio di avere una patria: si chiama Repubblica Democratica Araba Saharaui. Mi sono ritrovato lì per fondare una biblioteca di libri in spagnolo, e ho osservato questo signore raccontare ai bambini del deserto storie incredibili che parlavano di foreste, di monti innevati, di animali che probabilmente non avrebbero mai visto. È l’immagine di quel vecchio che mi ha aiutato a dare forma al nuovo libro».
Anche questa sua favola la direbbe segnata dall’impegno sociale e politico?
«Non esiste impegno sociale e politico più importante che conservare e difendere l’amicizia, la lealtà , la solidarietà  come valori fondamentali che nobilitano il genere umano».
Alla fine il lettore avverte un sapore autobiografico, scopre che Mix è stato il gatto di suo figlio Max: “Gli ho chiesto tante volte: a che pensi Mix? Naturalmente non mi ha mai risposto e questa storia vuol rispondere proprio a quella domanda, vuol essere la voce del silenzio di Mix”…
«Tutti i miei libri hanno qualcosa di autobiografico. Mio figlio Max è realmente cresciuto con Mix e mi ha sempre commosso la dedizione per il suo gatto, che un giorno è diventato cieco. Credo sia molto importante la convivenza responsabile di un bambino con un animale – un gatto, un cane, un criceto –, con un essere vivente che chiede solo affetto».
È lei a scriverlo, in quel capitolo conclusivo dal titolo “Qualche parola su questa storia”: un astrologo cinese le ha detto che in un’altra vita era il gatto preferito del mandarino. Non ci ha creduto, naturalmente, ma ha ammesso che le ha fatto piacere. Ama i gatti e magari un po’ s’identifica con loro?
«Amo tutti gli animali, ma in particolare i gatti, per l’indipendenza, il mistero, quella loro dignità  così nobile. Io ne ho uno, bianco e marrone, di nome Esteban. Mi è stato regalato da un’amica per Natale quando aveva appena sei settimane. Purtroppo la prima volta che l’ho portato dal veterinario, ho avuto una notizia terribile: il mio gattino ha una leucemia, potrà  vivere al massimo cinque anni. Mi era stato consigliato di restituirlo, visto che avrebbe avuto una vita breve e complicata, invece io gli ho detto “Esteban, divideremo il tempo che ti è dato, e sarà  un tempo felice”. A volte sento che mi dice “grazie, compagno”. E io gli rispondo de nada compaà±ero, sigamos viviendo».
È un po’ strano parlare di gatti con un autore, un uomo, che ha sopportato ogni angheria fisica e psicologica, lunghi mesi in una cella minuscola, senza potersi alzare in pedi, senza potersi sdraiare, senza neppure sapere se fosse giorno o notte… Dopo il golpe di Pinochet, quanto ha contato nella sua vita l’amicizia?
«Di tutto quel tempo, rimane il grande amore e l’ammirazione per chi ha sofferto con me il carcere e la tortura. Non posso dimenticare nessuno di loro: tornavano dagli interrogatori feriti, sanguinanti, senza denti, senza unghie, i corpi maciullati dalle botte. Avevano però occhi pieni di luce, molti appena riuscivano a farfugliare qualcosa, ma mi prendevano una mano e dicevano “Non ho parlato, compagno, non gli ho detto niente…”. Questi uomini e queste donne sono i miei fratelli, i miei amici. Sono la dignità  e la forza. Sono la mia forza ».

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