Salute, dove sbaglia Monti

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Il presidente del Consiglio oggi ha finalmente detto ciò che pensa. Ovvero che il servizio sanitario nazionale non è più sostenibile e che quindi bisogna, in un qualche modo, rinunciare alla sua universalità .

Francamente lo avevamo capito assistendo afflitti ai tagli lineari che abbatte su Asl e ospedali da un annetto a questa parte, con ciò continuando l’opera del suo predecessore Silvio Berlusconi.

Ci eravamo detti: governi di destra fanno politiche di destra. E i governi tecnici le fanno senza dirlo. In questo caso, le fanno, poi mandano avanti il povero Renato Balduzzi, ministro della Salute, a fare il poliziotto buono con dichiarazioni rassicuranti.

Oggi, però, questa pantomima è finita. E il premier ha detto, testualmente (cito dall’Ansa): «La sostenibilità  futura dei sistemi sanitari nazionali, compreso il nostro di cui andiamo fieri potrebbe non essere garantita se non si individueranno nuove modalità  di finanziamento per servizi e prestazioni».

Ora non ci resta che capire cosa sono queste “nuove modalità “. E come egli pensa siano compatibili con la Costituzione che parla di diritto alle cure di tutti, senza distinzioni.

A pensar male si potrebbe considerare che Monti guarda a un sistema all’americana. Ospedali pubblici e supporto pubblico per i miserabili, e tutti gli altri coperti da assicurazioni, più o meno ‘buone’ a seconda del loro costo e quindi del portafoglio di chi le paga.

E’ un sistema spaventoso e iniquo che condanna i meno abbienti, e calibra la qualità  delle cure a seconda del reddito. Potrà  anche piacere al premier ma è del tutto anticostituzionale.

Forse invece Monti ha in testa un sistema alla tedesca (ah, l’attrazione fatale!!), o comunque misto. Nel quale convivono assicurazioni  e erogazione pubblica di prestazioni.

I tedeschi le chiamano ‘mutue’ e fino a una cinquantina di anni fa le avevamo anche noi. Poi abbiamo ritenuto di dover pensare a un sistema universale (su modello di quello inglese), equo e garantista.

Non staremo qui a ripercorrere la storia della sanità  pubblica: chi volesse la trova magnificamente raccontata nel libro di Francesco Taroni (‘Politiche sanitarie in Italia’, Pensiero scientifico editore).

E torniamo al “sistema misto”. Significa di fatto che al servizio sanitario nazionale si affiancano delle assicurazioni che ciascuno di noi può sottoscrivere o che, come è già  accaduto, un’azienda può sottoscrivere per i suoi dipendenti a mo’ di integrativo.

Non ci nascondiamo detro a un dito: in molti abbiamo cominciato a chiederci se il Ssn sia o meno ancora sostenibile e molti abbiamo riconosciuto che la possibilità  di sottoscrivere delle assicurazioni è certamente un’opzione.

Ammettiamolo: in più della metà  del paese il Ssn non è più in grado di fornire prestazioni rapide in un contesto ‘alberghiero’ adeguato e le cose stanno rapidamente cambiando anche nelle regioni dove la sanità  pubblica è il fiore all’occhiello. E prosaicamente abbiamo riconosciuto che l’assicurazione, in questi contesti, è una risposta possibile alle liste d’attesa o alle camerate poco dignitose.

Quindi, in conclusione, non vedo nulla di drammatico a che molti cittadini vogliano premunirsi in questo senso.

Ma c’è un ma.

La possibilità  di assicurarsi è una toppa che chi può permetterselo mette a un sistema in crisi. Il presidente del Consiglio che, invece, dovrebbe badare soprattutto alla Costituzione non può pensare che chi ha i soldi si cura e chi non li ha peggio per lui. Quello che Monti si lascia alle spalle è proprio l’universalità . Perché è assolutamente ovvio che le assicurazioni calibreranno i loro supporti sulla base dei premi pagati, che sono soggetti privati e devono fare fatturato, quindi lavorano nell’ottica di non perdere mai nemmeno un euro, anzi.

Monti sa (e se non lo sa lo chieda a Balduzzi) che curare i malati è un costo enorme. Che a costare sono i pronto soccorso, le rianimazioni, gli interventi lunghi e difficili, le cure oncologiche… Insomma è del tutto ovvio immaginarsi che le assicurazioni terranno i cordoni ben stretti e che da quei cordoni molti italiani resteranno fuori (per non parlare degli stranieri immigrati). Da un premier ci aspettiamo non che dica pietose bugie e rassicuri sulla tenuta di un sistema in crisi, ma neanche che ci dica con tono apodittico e anaffettivo che manda a morire migliaia di vecchi disabili, migliaia di malati di cancro, di poveracci che non hanno i soldi per pagarsi l’assicurazione o che ne hanno così pochi che l’assicurazione li lascerà  a piedi nel momento del bisogno più oneroso e grave. Né che consideri inevitabile il fatto che le cure siano calibrate in base al reddito, e che, quindi, chi ha di più avrà  quelle più moderne e migliori, e via calando fino al nulla. Ci aspettiamo, invece, che, da tecnico, convochi una parterre di tecnici e trovi il modo di rendere sostenibile il sistema. Magari anche ricorrendo alle assicurazioni per chi può permettersele, e incentivando le aziende a metterle in agenda per gli integrativi; ma soprattutto esaminando voce per voce le uscite e le entrate della sanità , regione per regione. E immaginando un sistema equo, universale e sostenibile. Non sarà  semplice, e forse sarà  doloroso trovarsi a sfrondare, ma non c’è altra strada. E noi siamo pronti a rinunciare ad alcune prestazioni, a farci convincere che non sempre il più nuovo e il più hi-tech, in medicina, è il migliore. Ci faremo convincere se i tecnici e i clinici chiamati a questo lavoro saranno credibili e si baseranno solo e soltanto sulla letteratura scientifica senza concessioni ad personam. E non pensate che qui si faccia demagogia. Pensate piuttosto a quanti soldi si buttano in farmaci inutili, in giorni di degenza ospedaliera inutili, in stipendi di primari che nessuno vede mai in reparto perché stanno in clinica a fare soldi, in accertamenti diagnostici fuori misura. E magari cominciamo tutti insieme a renderci conto di quando pretendiamo troppo dal Ssn, di quando pretendiamo che ci garantisca l’immortalità  e non che ci curi.


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