Rossano vite a perdere

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ROSSANO (CS). La dinamica ormai è chiarita. I carabinieri di Rossano hanno accertato tutti i punti salienti sulla strage degli stagionali, ed inviato una relazione alla procura di Rossano che ha aperto un’inchiesta per disastro ferroviario ed omicidio colposo plurimo.
I militari hanno verificato che intorno alle 17.15 di sabato, quando era già  buio, i sei migranti rumeni hanno concluso il loro lavoro nei campi e sono saliti a bordo di una Fiat Multipla per rientrare nei rispettivi alloggi. Hanno percorso un tratto breve di una strada interpoderale – che va dalle campagne fino alla statale Jonica – e sono arrivati alla ferrovia, che taglia perpendicolarmente la strada. L’attraversamento della sede ferroviaria, in un tratto rettilineo, è «regolato» da due cancelli, la cui gestione è affidata a privati mediante una convenzione stipulata con le Ferrovie dello Stato. Il primo cancello, dal lato delle campagne, era aperto; il secondo, dal lato della statale Jonica, era chiuso con tre lucchetti, tanti quanti sono i proprietari dei fondi che si servono della strada interpoderale per raggiungere i loro terreni. Ai lucchetti è applicato un dispositivo, per cui, aprendone uno solo, si sbloccano anche gli altri due. È stato un altro rumeno – non coinvolto direttamente nell’incidente e che pare non fosse a bordo dell’auto – ad aprire il cancello: la chiave di uno dei lucchetti gli sarebbe stata data qualche tempo fa dal proprietario terriero per il quale lavora. Il conducente del veicolo ha cominciato l’attraversamento della sede ferroviaria, senza avvedersi, forse per il buio, del sopraggiungere del treno regionale 3753 Metaponto-Reggio, che, partito qualche minuto prima da Rossano, avrebbe fatto la successiva fermata nella stazione di Mirto Crosia. L’impatto è stato violento e non ha lasciato scampo agli occupanti del veicolo, che sono morti sul colpo. All’arrivo dei soccorritori, il treno aveva le luci posteriori di colore rosso accese (sono quelle che indicano la coda del convoglio), mentre non è stato possibile stabilire, a causa dei danni subiti nell’impatto, se anche le luci anteriori (che devono esser di colore bianco) fossero accese.
Le disfunzioni da «medioevo ferroviario» dei trasporti calabresi, peraltro, corrono parallele alle condizioni di schiavismo legalizzato in cui versano centinaia di migranti nell’agro rossanese. Un impasto di sfruttamento ed omertà , di menefreghismo e rassegnazione. Familiari, amici, compagni di lavoro raccontano in queste ore la loro vita di stagionali nei campi rossanesi. Lo fanno, tuttavia, non dinanzi alle telecamere locali ma di fronte ai media rumeni. Hanno una maledetta paura di ritorsioni e vendette dai caporali e proprietari terrieri. Parlano della miseria nei campi, della speranza di ritornare nella propria terra, del regime di silenzio imposto.
«Come animali»
Cosmin Rinja, davanti alle telecamere di una nota emittente romena, racconta come è arrivato nel nostro Paese. Dice di aver «sottoscritto un contratto con una azienda di Bucarest per svolgere la raccolta di agrumi in Italia». L’accordo prevedeva uno stipendio di 800 euro al mese. Soldi che sarebbero serviti per pagare il battesimo del figlio. Quando è arrivato in Italia, due mesi fa, si è scontrato invece con la dura realtà . Invece delle pattuite otto ore pagate 25 euro, Cosmin rievoca i pagamenti irrisori per 12 ore di lavoro al giorno. Rammenta che era costretto a vivere «in una baracca vicino la stalla degli animali», e proprio dentro quella baracca ha conosciuto le sei vittime. L’azienda di Bucarest sottraeva una percentuale sul salario e così nella tasca dei lavoratori non rimanevano che 7-8 euro al giorno. L’obbligo del silenzio era poi tassativo: nessuno poteva parlare delle condizioni di lavoro vissute nei campi. Cosmin, alla fine, non ha resistito più, ha comprato un biglietto ed è ritornato in patria. La stessa cosa avrebbero voluto fare le sei vittime, ma purtroppo ancora non avevano risparmiato abbastanza per pagarsi il viaggio. Davanti alle telecamere della tv romena c’è anche la mamma di Georgel Cantea, ovvero l’autista del Doblò finito poi contro il treno. Eugenia Cantea ricorda di aver parlato con il figlio poche ore prima dell’incidente, il ragazzo le avrebbe detto che non poteva lamentarsi troppo delle condizioni di lavoro, perché «altrimenti sarebbero rimasti a stomaco vuoto». Un ricatto in piena regola. La voce rotta dal dolore di Ion Buche, padre della ventiduenne Ionela Georgiana Buche, suona come un’accusa agli sfruttatori. Ma l’unica cosa che dice, mentre stringe con forza le foto della figlia perduta, è: «Aspetto il suo ritorno».
Le salme saranno rimpatriate nei prossimi giorni e ai raccoglitori rumeni sarà  data degna sepoltura.
Nel mentre, il sindaco di Rossano ha comunicato di aver revocato le licenze alle imprese di onoranze funebri locali. Nell’immediatezza della strage era, infatti, esplosa una discussione su chi dovesse aggiudicarsi il servizio. Parole grosse, poi calci, persino barelle brandite come armi dai titolari delle agenzie. «Quelli sono tutti miei», gridava uno. «Facciamo uno a testa», la replica dell’altro. Il tutto sotto gli occhi attoniti di parenti e amici delle vittime. Sciacallaggio, niente più. Perché al peggio non c’è mai fine.


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