by Sergio Segio | 16 Novembre 2012 7:48
Un miliardo e 300 milioni di euro che secondo un’inchiesta del settimanale L’Espresso[1] ha contribuito in gran parte a tenere a galla un settore turistico in crisi e a creare o rafforzare pericolosi clientelismi politico-economici, senza garantireun’accoglienza dignitosa per i “profughi” giunti da Tunisia e Libia. Chiudere l’emergenza significa però anche rischiare di perdere un patrimonio di relazioni, saperi e pratiche costruito faticosamente da rifugiati, cittadini e istituzioni locali negli ultimi 18 mesi e avviare così le persone verso percorsi di marginalità , rendendo più evidente la disuguaglianza di trattamento fra chi ha beneficiato di progetti sociali e chi è stato invece “parcheggiato” in strutture alberghiere senza poter usufruire dei servizi di inserimento formalmente garantiti dal progetto.
Se tracciare un bilancio complessivo del “piano per l’accoglienza dei migranti[2]”, al di là degli episodi gravissimi riportati da L’Espresso, risulta estremamente difficile, per l’assenza di un sistema di monitoraggio e di una raccolta dati trasparente a livello nazionale così come per la grande varietà delle soluzioni abitative e dei servizi offerti, è importante tentare di colmare un vuoto di comunicazione, sottraendo i rifugiati e l’accoglienza alla dimensione ingannevole dell’emergenza. Un’emergenza costruita per ragioni politiche, che diventerà reale se da un giorno all’altro migliaia di persone si troveranno sulla strada.
Fra le prime voci istituzionali a levarsi contro le posizioni allarmiste dell’allora ministro dell’Interno Maroni e c’è quella della Toscana. A fine marzo 2011 il governatore Rossi contestava la proposta del governo di utilizzare l’ex base militare di Coltano, provincia di Pisa, come tendopoli per l’ospitalità temporanea, premendo per un’accoglienza diffusa[3]in piccole strutture individuate dalle regioni. Una proposta che si è poi concretizzata a inizio aprile, quando governo e enti locali hanno trovato un accordo[4] per avviare il piano di accoglienza nazionale per un numero massimo di 50 mila persone. “In Toscana sono poi arrivate circa 1500 persone – racconta l’assessore regionale alle politiche sociali Salvatore Allocca – e se l’esperienza si interromperà con il 2012 rischiamo di vanificare sforzi e investimenti finanziari”. A un anno e mezzo dall’inizio dell’accoglienza, Allocca giudica positivamente un “esperimento che ha visto coinvolte 135 strutture diverse in tutta la Toscana, il numero più alto in proporzione rispetto alle altre regioni, che ha avuto alcune eccellenze e va pertanto salvaguardato politicamente, portando i rifugiati accolti oltre l’emergenza”. Una proposta per cui la regione Toscana è disponibile a stanziare fondi, chiedendo però allo stato di intervenire, perché “non possiamo pensare che il governo non risponda. Nell’ultimo anno abbiamo fatto pressione con successo per un rafforzamento delle misure di ritorno volontario assistito e per il rilascio di titoli di soggiorno per protezione umanitaria, ora attendiamo una risposta per il futuro”. “L’idea di fondo – continua Allocca – è di partire dalle buone pratiche di inserimento registrate, come quelle di Massa Carrara, per renderle trainanti”. A questo scopo la regione ha commissionato all’Osservatorio Sociale Regionale uno studio[5], basato su raccolta dati, osservazioni e interviste sul campo, presentato all’inizio di novembre. “Il rapporto evidenzia anche alcune criticità – sottolinea l’assessore – quali la formazione non sempre adeguata degli operatori, l’eterogeneità dei servizi offerti, l’insufficienza dei percorsi di formazione professionale per i rifugiati”.
Al di là dei progetti di accoglienza, le problematicità principali riguardano i tempi di attesa eccessivi per l’audizione da parte della commissione territoriale per l’esame della domanda di asilo e per la successiva decisione da parte dello stesso organo, e lascarsità di prospettive lavorative. “Uno dei nostri sette ospiti, tutti nigeriani – racconta Eugenio Barone – ha ricevuto la convocazione dalla commissione per gennaio 2013, cioè a 16 mesi dall’arrivo sul territorio senese. Gli altri hanno ottenuto un diniego e tutti continuano a ricevere permessi di soggiorno a scadenza trimestrale. Considerando i tempi di rilascio, la durata reale del permesso è ancora minore. È quasi impossibile stipulare un contratto di lavoro, l’unica cosa che hanno trovato è la vendemmia e lavoretti in nero”. Barone, responsabile dell’accoglienza dellacooperativa sociale senese Servizio e Territorio, giudica comunque positivamente l’esperienza. I giovani nigeriani sono stati inseriti in una struttura destinata all’accoglienza temporanea di lavoratori in situazione di disagio, convenzionata con il comune, convivendo dunque con altri ospiti. “Direi che si sono inseriti bene. Hanno studiato italiano, trovato amici, si sono fidanzati, giocano a calcio. Forse uno o due lasceranno volontariamente il centro, ma sarebbe un peccato mandare via gli altri dopo tutti gli investimenti fatti”. Di prospettive per il 2013 è comunque presto parlare: “per noi prolungare per un mese l’accoglienza non sarà un problema, ma con dicembre scade anche la nostra convenzione con il comune di Siena per la gestione del centro. Una difficoltà in più, visto che il comune è stato commissariato a giugno 2012”.
Gli fa eco, in un altro territorio, Valentina Mura, direttrice del Centro Mantovano di Solidarietà Arca[6].“Non saremo certo noi a mandare fuori le persone. Però non abbiamo risposte”. L’avventura di Arca con i rifugiati è iniziata un venerdì di giugno del 2011. “Una telefonata ci ha avvertito dell’arrivo dei profughi in provincia. Avevamo appena inaugurato una nuova ala della nostra comunità per tossicodipendenti, accreditata presso la regione per l’ospitalità di 15 persone. Il lunedì successivo sono arrivati 20 ragazzi”. In una provincia che, sostiene Mura, “è molto vicina al modello di cooperazione sociale emiliano”, i rifugiati sono stati ospitati in un albergo di Mantova, assistiti dal Centro Interculturale provinciale, in un centro della Caritas, in alloggi privati, bed and breakfast e comunità per persone disabili. “L’arrivo dei profughi nella nostra comunità – racconta – ci ha costretti a reinventarci il lavoro. Abbiamo un’equipe di psicologi e educatori, dunque abbiamo soprattutto lavorato sulle relazioni, responsabilizzando rispetto alla convivenza con persone tossicodipendenti”. Un percorso particolare, che è stato apprezzato. “Solo due rifugiati non si sono ritrovati in una proposta basata sulla vita comunitaria”. La preoccupazione è naturalmente la sostenibilità economica di un prolungamento dell’accoglienza. La provincia ha organizzato corsi di formazione e tirocini[7] nei settori trainanti dell’economia mantovana, con la prospettiva di impiegare le persone anche nella ricostruzione post-terremoto. “Otto dei nostri ospiti sono stati assunti in ambito agricolo a tempo determinato – conclude la direttrice di Arca – ma anche per loro non sarà facile pensare a un’autonomia abitativa a partire da gennaio”.
Sull’aspetto del sostegno all’inserimento lavorativo si misura la differenza principale fra chi è stato ospitato in alberghi e grandi centri di accoglienza e chi ha beneficiato di percorsi di accoglienza diffusa o comunitaria, tutelata politicamente dagli enti locali. Su questo, dice l’assessore Allocca, vuole puntare la Toscana: “la nostra idea è di rafforzare la seconda fase dell’accoglienza, ovvero quella dell’intervento sociale e dell’integrazione lavorativa, andando a sostenere soprattutto quel 25 per cento di soggetti fragili che abbiamo riscontrato e prevedendo per esempio un bonus di uscita per chi vuole intraprendere percorsi di autonomia. Abbiamo messo sul tavolo diverse prospettive, fra cui anche delle proposte per il ripopolamento delle zone montane a vocazione agricola, ora attendiamo che il governo si esprima”. Il governo si è nel frattempo espresso per il rilascio di un permesso per motivi umanitari[8] per tutte i richiedenti asilo transitati dal piano di accoglienza. Compito dei cittadini è vigilare affinché non sia questo il bonus di uscita dal progetto, ma si tuteli invece un’esperienza che ha avuto realizzazioni certo opposte, ma non sempre negative. Occorre dare risalto a quelle positive e cogliere l’occasione per sottrarre chi è scappato da guerre e disordini all’invisibilità sociale.
Giacomo Zandonini[9]
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