Renzi-Bersani, caccia aperta a 250 mila voti-chiave

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ROMA — Il grande «derby tra usato sicuro e innovazione», per dirla con Matteo Renzi, è un match tra due visioni del mondo e del Pd. A marcare il confine tra i due campi di gara ci sono 250 mila voti, margine che il sindaco di Firenze ritiene «colmabilissimo».
Galvanizzato da uno spareggio che riporta la finalissima sullo zero a zero, lo sfidante di Pier Luigi Bersani ha ben chiara la strategia. Gli elettori andrà  a stanarli «uno per uno», giovani e vecchi, bersaniani, vendoliani ed ex berlusconiani. E per questo un’aspetto chiave del rush finale è il regolamento, sul quale i duellanti si stanno scontrando senza esclusione di colpi. Renzi vorrebbe riaprire i termini delle preiscrizioni, mentre Bersani si appella ai codicilli deliberati dai garanti: al secondo turno vota solo chi si è registrato al primo, salvo dichiarare (ma solo giovedì e venerdì) che si è stati impossibilitati per malattia o viaggi all’estero. «Noi siamo gente per bene, cerchiamo di non mettere delle briciole di problemi…», sdrammatizza Bersani. E Renzi: «Non è una briciola, è un filoncino». Per cambiare la platea degli elettori e ribaltare i pronostici il sindaco lancerà  una raffica di appelli agli elettori di centrosinistra «e ai delusi del Pdl» perché vadano a votare al ballottaggio, anche se al primo turno sono rimasti a casa.
La tensione è forte pure sulle schede scrutinate. Per il responsabile della macchina elettorale Nico Stumpo il 44,9 di Bersani e il 35,5 di Renzi sono dati definitivi, ma l’inseguitore del leader non ci sta, dice che i numeri sono «ballerini», che tra lui e Bersani ci sono solo cinque punti. Vuole trasparenza e chiede che la Commissione elettorale metta online tutti i verbali. «Decideranno i garanti» è la replica di Bersani, che prova a chiudere anche la disputa sui pronomi. «Matteo ha sempre un difettuccio che va corretto», lo bacchetta il capo del Pd. «Lo sento parlare di me dicendo “loro”. Loro chi? Siamo noi, loro è Berlusconi. È un tic che svanirà  presto». Ma per Renzi non è un tic. Anche lui vuole «bene alla ditta», non si sente «uno sfasciacarrozze» e se Bersani vince voterà  per lui. Ma «loro hanno un tipo di gioco e noi un altro — tiene il punto il sindaco — Io, da allenatore, D’Alema e Bindi li manderei in tribuna».
Ma Bersani, che con le primarie si è «cavato un paio di soddisfazioni», elogia Renzi come «un combattente fresco e vivace» e chiede all’avversario correttezza, perché la posta in gioco è il governo del Paese e i democratici devono «dare l’idea che facciamo parte della grande squadra dei progressisti». E se Renzi protesta per le file ai seggi, il segretario esulta per aver messo su il primo albo degli elettori di centrosinistra, «un patrimonio di milioni di persone».
Vittoria e sconfitta si giocano in tv. Da Fabio Fazio ieri i duellanti si sono abbracciati dietro le quinte. Pace fatta? «Ma sì — risponde Bersani al conduttore — La cosa che stiamo facendo è una promessa per l’Italia». Domani c’è il faccia a faccia su RaiUno e Renzi ci punta, fosse per lui andrebbe anche a Mediaset e sabato da Mentana, su La7. Bersani invece non smania per i duelli in diretta. Di aver voluto il ballottaggio non si è pentito, perché non gli «sembra giusto che uno diventi il candidato del centrosinistra senza avere il 51 per cento». Smentisce l’apertura all’Idv, promette una gara «civile» e guarda «con fiducia» al dopo, a quel «passaggio storico» che saranno le elezioni politiche. E se dovesse perdere? Continuerà  a fare il segretario fino al congresso, dopodiché, conferma, «la ruota girerà ». Facce nuove al governo e in Parlamento, dove deputati e senatori saranno scelti con le primarie. Niente effetti speciali, però: «Io li aborro — chiude Bersani — Mi piacciono quelli normali».


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