by Sergio Segio | 14 Novembre 2012 15:02
WASHINGTON. NEL fondo del labirinto erotico e politico dell’affaire Petraeus si intravede la sagoma di un possibile bersaglio più grosso di vecchi generali sedotti e abbandonati: il presidente Obama.
LA DOMANDA radioattiva che sta sotto le lenzuola, le scrivanie maliziose, le email d’amore, la furia di donne in guerra fra loro e le false piste è quella che sta facendo venire l’acquolina in bocca alla destra bastonata alle urne: quando ha saputo, il Presidente? E se ha saputo, perché ha taciuto?
Troppe cose non tornano, in questo puzzle, ma nessuna cruciale, e pericolosa per il Presidente, come il calendario. «Io — ha detto ieri il capo gruppo repubblicano alla Camera, idolo del partito del tè e nemico mortale di Obama, Eric Cantor — l’ho saputo in ottobre, quando l’Fbi mi ha informato».
Possibile che l’Fbi avesse avvertito, ufficialmente o sottobanco, un parlamentare, mentre i diretti superiori dei G-Men, il governo, non avessero saputo nulla fino a due giorni dopo le elezioni? La rivelazione di Cantor lascia maliziosamente sospesa la conclusione logica: se lo sapevo io, poteva il Presidente non sapere?
Se proviamo a raccogliere i fili sparsi di un tessuto ancora incompiuto e aggiungiamo il nuovo scandalo parallelo di un altro generale, Allen — il successore alla guida del disastro afgano — nei guai per essersi forse invaghito della donna che la seduttrice di Petraeus odiava, si capisce che la chiave del dramma politico, dietro la finzione del gossip, è nei tempi. Ogni giorno che porta una nuova scoperta, aggiunge un nuovo tassello a questo rompicapo che si sposta all’indietro nel tempo e rende sempre meno credibile l’ignoranza professata dalla Casa Bianca e ribadita anche ieri dal portavoce di Obama.
Per ora abbiamo cinque attori centrali, che si agitano attorno alla divisa di due generalissimi. David Petraeus, che dopo avere comandato tutto era stato scelto da Obama per guidare la Cia anche per chiamarlo fuori dalla possibile competizione elettorale come avversario repubblicano. E il suo successore alla guida della disastrosa spedizione afgana, il generale John Allen. Mentre Petraeus perdeva la testa per la biografa intraprendente e spregiudicata, Paula Broadwell, Allen si scambiava almeno ventimila email sequestrate dallo Fbi, con una attraente signora bruna, Jill Kelly. Era una funzionaria del Dipartimento di Stato con il compito di fare da “liaison” fra la diplomazia e la forze armate, ma soprattutto una insaziabile regina della mondanità .
Mentre Petreaus fantasticava di esercizi “sotto la scrivania” con Paula, Allen era visto “fare piedino” alla bella Jill in una delle numerosissime occasioni nelle quali lei partecipava a pranzi, eventi sociali, cocktail fra smoking, abiti lunghi e uniformi. «Non ci sono prove di rapporti amorosi fra il generale e la Kelly» filtra dall’Fbi. E neppure l’appellativo di
honey, sweetheart, love con il quale il generale si rivolgeva a lei, dolcezza, tesoro, amore, provano nulla. E Jill ha una gemella identica, indistinguibile da lei. Forse il generale faceva piedino a un piede sbagliato? Il copione della commedia degli equivoci se ne arricchirebbe. Ma Allen, mentre le due donne si affidano agli stessi avvocati che difesero Clinton e la Lewinski nel loro “Monicagate”, nega di avere avuto una “storia” con una o entrambe le gemelle.
La Kelly conosceva bene la quinta persona di questo “pentagono”, Holly, la moglie silenziosa, almeno in pubblico. Ma, ecco un altro mistero dentro l’enigma, perché la “lupa alpha”, la biografa, comincia a sparare email minacciose e violente contro la Kelly? La moglie aveva forse scoperto le avventure del marito e cercava di intervenire attraverso una terza persona? O Paula Broadwell vedeva la Kelly come una concorrente al letto anche di Petraeus? Era la tarda primavera
quando la Kelly si decise ad avvertire lo Fbi e i G-Men cominciarono a setacciare la casella postale del direttore della Cia, scoprendo che era stata “compromessa” dalla biografa, che carpiva anche gli impegni dell’agenda ufficiale di lui, per controllarlo. Ma anche l’agente incaricato dell’indagine cadde nella stessa “trappola al miele”. S’invaghì della Kelly, la vittima della biografa, e cominciò a mandare foto di sé, seminudo. Fu sospeso.
A questo punto, siamo in estate, sono molti, troppi, coloro che sanno. Eppure, secondo il canovaccio delle peggiori pochade, il “marito”, vale a dire il Presidente, è ignaro, l’ultimo a sapere. Mentre il cronografo elettorale si avvicina alla scadenza del 6 novembre, l’11 settembre esplode la tragedia di Bengasi. La Casa Bianca spedisce Petraeus (che ben sa di essere sotto inchiesta) al Senato per coprire le spalle di Obama, accettando ogni responsabilità . Petraeus è salvo, per il momento. Ma la notizia del suo labirinto amoroso arriva alla Camera, al deputato Cantor. Due giorni dopo le elezioni, Obama viene ufficialmente avvertito e il capo della sicurezza nazionale, Clapper, chiede le dimissioni a Petraeus.
Qui, nell’ipotesi che la Casa Bianca sapesse, che avesse usato l’inchiesta sulle relazioni extraconiugali per costringere Petraeus a prendersi la colpa del sangue a Bengasi, che i collaboratori del Presidente avessero compromesso la sicurezza nazionale per motivi elettorali sta la leva di un ricatto politico molto più serio della possibile corte marziale per il generale Allen e il tramonto di Petraeus. Se Obama insisterà nel voler imporre ai repubblicani, maggioranza alla Camera ma non più nel Paese, i propri piani economici per tasse e tagli qualcuno, in Parlamento potrebbe calare l’asso del possibile “alto tradimento” e rispolverare l’arma finale, la minaccia di «impeachment ». Nel labirinto dello scandalo, molti mostri sono in agguato.
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