Quella Pietà  nel carcere del cappellano stupratore

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Nelle sculture di Michelangelo, specialmente dove è più forte il non finito, è un doppio movimento a farsi sentire: la figura vuole uscire dal blocco di marmo – sprigionarsene, divincolarsene – e rientrarvi, esserne riassorbita. Qualcuno ha storto il naso di fronte alla decisione del trasloco dal Castello Sforzesco a una galera, e si è spinto fino a immaginare che “Michelangelo si rivolta nella sua tomba”. Idea indebita, perché all’autore dei Prigioni fiorentini e di questa estrema Pietà  che evade dalla pietra e si rifà  pietra, una rotonda di carcere sovraffollato si addice come il più solenne dei templi. Il cappellano di San Vittore avrebbe dunque detto messa ai piedi di quel monumento sublime: gran premio a una scelta umile. Non è stato alla sua altezza, e nemmeno all’altezza propria, di quella dedizione
al suo prossimo incarcerato che dichiarava, e magari con una sua storta convinzione. Avrà  bisogno di una difficile pietà  anche lui. Ma la cattiva notizia che viene da San Vittore non basta a guastare la bella notizia che vi arriva. La differenza la farà  uno scopino di San Vittore. Si chiama così, il detenuto che spazza il pavimento. Sarà  sera, le celle saranno chiuse, ci sarà  lui con la sua ramazza e un agente col suo mazzo di chiavi. Guarderanno quel figlio macilento e slogato che scivola giù dall’abbraccio della madre e sembra intanto tornarle in grembo. L’assessore che ha avuto l’idea era mosso da un’ambizione pubblicitaria? Ma la Pietà  rimessa al centro dell’attenzione rimetterà  al centro anche la galera: che in tanti avrebbero voluto sloggiare in qualche ultima periferia, per liberarne il cuore della città  e farci su qualche affare. Qualcuno si offenderà  per quel privilegio impensabile, il più commovente Michelangelo per il posto più infame: hanno la tv, e ora anche la Pietà , i 1.600 ammucchiati nello spazio da 500! Ma lo scopino e l’agente delle chiavi staranno lì, all’ora di chiusura, a guardare, ciascuno coi suoi pensieri. Poi se ne andranno a dormire, uno nel suo pezzo di cella e l’altro nella sua branda di caserma, e si addormenteranno con la compagnia


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