Quel Segreto di Stato che non può diventare un sipario sulla verità 

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È quel che ha stabilito la corte di Cassazione nella sentenza con cui, nel settembre scorso, ha ordinato un nuovo processo per l’ex capo del Sismi Nicolò Pollari e altri uomini del servizio segreto militare imputati del sequestro dell’imam egiziano Abu Omar, avvenuto a Milano nel febbraio 2003. I giudici di primo grado e d’appello avevano stabilito il non luogo a procedere proprio in virtù del segreto di Stato opposto dal generale, ma la sorte suprema ha bocciato quelle decisioni: troppo vasta e generica la «zona di indecidibilità » che ha impedito l’accertamento delle responsabilità  dei singoli imputati. Il segreto, affermano ora i giudici di legittimità , «non può essere apposto sull’operato di singoli funzionari che abbiano agito al di fuori delle proprie funzioni», e siccome non risulta da nessuna parte — anzi, è sempre stato categoricamente smentito — che il rapimento di Abu Omar fu un’azione pianificata dal Sismi, i singoli partecipanti all’operazione non possono essere protetti da procedure che hanno tutt’altre finalità  e obiettivi.
La Cassazione ha dunque sollevato il «sipario nero» su una vicenda inquietante e ancora oscura di quasi 10 anni fa, calato anche grazie a «dinamiche anomali» e un «comportamento non facilmente spiegabile» degli agenti segreti e del governo, che invocarono il segreto in maniera tardiva e fra qualche contraddizione. Nel nuovo processo bisognerà  decidere caso per caso quali elementi di prova si potranno utilizzare e quali no. Definitive, invece, le condanne degli americani della Cia responsabili della extraordinary rendition, «perfettamente consapevoli della manifesta illegalità  in Italia» del sequestro di un sospetto terrorista: «La disobbedienza a un ordine perché manifestamente criminoso era pienamente giustificata; semplicemente, non avrebbero dovuto eseguirlo».


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