by Sergio Segio | 6 Novembre 2012 7:49
«Io non faccio previsioni. Racconto quello che osservo. E la realtà è che i grandi movimenti sociali di questi dieci anni, quelli che sono nati su Internet e sono arrivati sulle piazze d’America, d’Europa e del Nord Africa, stanno cambiando il mondo. Come è sempre accaduto nella storia, i movimenti possono essere repressi, strumentalizzati, traditi. E possono morire. Ma il vero punto è come scompaiono: se lasciandoci una eredità di speranza e di progresso umano o meno. Io credo che i movimenti di questi anni abbiano lasciato un segno molto forte: per esempio hanno terremotato la nostra fiducia nelle banche e nei politici. Non è poco». Manuel Castells è a Milano per una conferenza: ha 70 anni e dalla pubblicazione di L’età dell’informazione, nel 1996, fino all’ultimo, Reti di indignazione e speranza, appena pubblicato in Italia (Università Bocconi Editore, pagg. 304, euro 25), si è dedicato come nessun altro a indagare il rapporto fra Internet e movimenti politici.
A quelli come Eugeny Morovoz che hanno messo in evidenza “il lato oscuro della rete” come strumento di sorveglianza e repressione politica, Castells risponde: «Internet non elimina automaticamente i dittatori, ma rende la loro vita più difficile. Il potere ha sempre spiato i cittadini. La differenza è che adesso noi possiamo sorvegliare il potere. Chiedete conferma a tutti quei politici che si devono travestire per fare i loro affari sporchi senza essere ripresi dai nostri telefonini». Quanto alla accusa, mossa tra gli altri da Malcom Gladwell, di sopravvalutare il ruolo di Facebook e Twitter nelle recenti rivoluzioni, dice: «La questione non è se Internet abbia o meno provocato delle rivoluzioni. La questione è che tutte le rivoluzioni dipendono dalla comunicazione fra le persone. E quando si verifica un cambiamento fondamentale del modo di comunicare, che con Internet diventa orizzontale, multimodale, interattivo e immediato, allora cambia la natura dei movimenti politici. Così Internet non ne è la causa, ma non possiamo davvero capire i movimenti sociali di questi anni senza capire il ruolo della rete».
Cosa resta di tante piazze occupate, di tante speranze? Ha davvero l’impressione che oggi viviamo in un mondo migliore di dieci anni fa?
«Se guardiamo a valori come l’eguaglianza, la dignità delle donne, l’importanza della conservazione del pianeta, o anche i diritti umani fino alla sfide ai dittatori e agli autori di autentici genocidi; se guardiamo a tutto questo non possiamo negare il ruolo dei movimenti. Nella primavera araba per esempio sono stati rovesciati dittatori sanguinari e il potere è passato al popolo. E chi dice che le rivoluzioni sono fallite per l’ascesa dei partiti islamici dimentica che negli ultimi dieci anni tutte le elezioni democratiche in ogni paese arabo hanno avuto gli stessi risultati. Purtroppo noi occidentali siamo abituati a considerare democrazia solo quello che coincide con i nostri interessi. Altrimenti preferiamo i dittatori».
Prendiamo Occupy Wall Street che ha coinvolto centinaia di città americane. O gli Indignados, che dalla Spagna hanno contagiato l’Europa. Cosa hanno ottenuto?
«Ottenere il supporto della maggioranza della popolazione per denunciare l’ingiustizia sociale e la complicità fra élites politiche e finanziarie non è poco. Il fatto è che oggi molte democrazie non sono più democratiche, nel senso che la classe politica si è arroccata al potere escludendo i cittadini i quali a loro volta sono disinformati dai media controllati dai grandi gruppi economici. Ma la coscienza delle persone sta cambiando: è come l’acqua, se trova un canale ostruito ne cerca un altro. Non puoi fermarla».
L’impressione è piuttosto che solo l’Islanda abbia vissuto un cambiamento visibile, con la wiki-costituzione redatta con il contributo di tutti i cittadini attraverso i social network. Perché lì ha funzionato?
«L’Islanda non è l’unico posto però c’è una verità : un pieno cambiamento democratico e pacifico è avvenuto solo in Islanda. Forse perché ha una democrazia molto antica e anche perché il 96 per cento della popolazione è connessa ad Internet e molti di loro sono esperti di rete».
A prescindere da dove siano nati, i movimenti sociali che descrive hanno in comune un rifiuto del sistema politico. E la astensione elettorale. Questo spesso ha avuto come conseguenza una vittoria dei partiti conservatori. È questo che vogliono? Tanto peggio, tanto meglio?
«È un ragionamento sbagliato. Tutti pensano ai nazisti in Grecia ma Syriza ha tre volte i voti dei nazisti e oggi vincerebbe le elezioni se la coalizione conservatori-socialisti non governasse grazie ad un trucco della legge elettorale. Quello che c’è di vero è che tutti i movimenti sfidano la legittimità del sistema politico, ma non la democrazia in sé. In tutto il mondo eccetto la Scandinavia la maggioranza dei cittadini non si sente più rappresentata dai partiti. E così questi hanno chiuso tutte le vie d’uscita per un cambiamento reale. Ma così si ignora la Storia. Guardate a quel che è accaduto con il MoVimento 5 Stelle in Sicilia: io non ho abbastanza elementi per giudicare Beppe Grillo, ma è evidente che il suo successo elettorale dimostra che tutte le volte che i cittadini possono scappare dall’attuale sistema, lo fanno all’istante».
Nella sua visione la democrazia rappresentativa è in crisi irreversibile: l’approdo è una democrazia liquida, imperniata sulla trasparenza e gli strumenti di partecipazione dal basso del web?
«Viviamo una fase costituente. È empiricamente chiaro che gli attuali sistemi politici non rappresentano più i valori e gli interessi dei cittadini. Ma non c’è nessun progetto chiaro di una democrazia diversa. Come potrebbe esserci? I popoli sono in lotta, il modello arriverà dal basso non come elucubrazione di qualche aspirante leader. Quello che si può già dire è che le reti di Internet e le reti sociali consentono alle persone di mobilitarsi senza leader e organizzazioni. Siamo nel mezzo di un grande processo di trasformazione con un finale aperto. Ci sono molti rischi, è vero, ma arriveremo a costruire nuove forme di rappresentanza. Io non credo che capiterà presto. Per questo gli Indignados spagnoli dicono: andiamo piano perché andiamo lontano».
C’è ancora bisogno di andare in piazza per cambiare le cose? In fondo Internet dimostra il contrario.
«Assolutamente sì. Perché abbiamo bisogno di sentirci parte di una comunità , di condividere esperienze, toccarci, abbracciarci. Persino essere picchiati dalla polizia assieme. Se i movimenti esistessero soltanto su Internet sarebbero un videogioco. Viviamo e combattiamo con Internet non dentro Internet».
Source URL: https://www.dirittiglobali.it/2012/11/qla-rete-regala-conoscenza-ma-non-puo-sostituire-la-forza-delle-esperienzeq/
Copyright ©2024 Diritti Globali unless otherwise noted.