by Sergio Segio | 16 Novembre 2012 5:57
ROMA — Seduta sul divano bianco che chiude uno dei lati del suo ufficio al Viminale, il ministro dell’Interno Anna Maria Cancellieri risponde alle domande di Repubblica con la disinvoltura e la sincerità di chi sa di essere di passaggio e dunque non ha nulla da perdere. Di chi, spesso, sembra parlare più da prefetto che da ministro. «Lei trova? Io invece avrei detto il contrario. Che sto imparando a parlare da ministro». Sorride. «E comunque c’è un dato, credo indiscutibile. Che la sottoscritta, come gli altri colleghi di questo Governo, non solo ha una storia da tecnico, ma è sola. Quello che intendo dire è che sono espressione di una maggioranza parlamentare, chiamiamola così, che è solo numerica. Di fatto, rispondo politicamente a me stessa e ovviamente all’esecutivo di cui faccio parte. Non ho un partito alle spalle. Talvolta è un vantaggio, altre volte assai meno».
Lei ha detto: «Mostriamole e guardiamole tutte le foto degli scontri». Ha avuto modo di vedere tutto quello che è stato rovesciato in rete?
«Purtroppo no. Sono stata in Algeria per l’intera giornata e sono rientrata solo ieri (mercoledì ndr) sera».
Le posso mostrare questo video? La Cancellieri osserva in silenzio i 20 secondi del filmato (“Manganellate in faccia a un manifestante”) postato da Repubblica tv che documenta la furia di un agente in borghese su un ragazzo inerme, bloccato a terra da altri due poliziotti, durante le cariche di Roma a ponte Sisto. Poi dice: «Queste immagini non le avevo ancora viste. E questa violenza su un inerme è intollerabile e ingiustificabile. Glielo ripeto: ingiustificabile. Questo poliziotto sarà identificato subito. Sono io, ora, a voler sapere chi è. Faremo le dovute valutazioni e ne trarremo le conseguenze disciplinari. E lo stesso varrà qualora altre immagini dovessero documentare comportamenti simili. Su questo punto, non ci sono né se, né ma. Il monopolio della forza è democratico se la forza è esercitata nel rispetto della legalità . Altrimenti diventa un’altra cosa».
Conosce l’obiezione, vero? Questo è accaduto perché poco prima è accaduto quest’altro.
«Conosco l’obiezione. E le dico anche che sono stata la prima a complimentarmi con il Dipartimento di Pubblica Sicurezza per la scelta di mettere in Rete, utilizzando la stessa forza virale dei social network, le immagini girate a Roma dalla Polizia Scientifica. Perché è giusto che il lavoro della Polizia avvenga nella massima trasparenza. E dunque che ogni cittadino possa valutare come una minoranza abbia sequestrato un’intera piazza con le sue legittime e condivisibili richieste, schiacciandola in una testuggine armata di bastoni, bombe carta, sassi. In altri termini, cosa ha determinato alcune scelte di ordine pubblico. Ma dico anche, al contrario di quello che qualche suo collega vorrebbe farmi dire, che io non penso che ci sia alcuna equivalenza tra le immagini che lei mi ha mostrato prima e quelle della testuggine di Ponte Sisto. I poliziotti responsabili di abusi verranno puniti. E questo per rendere onore e merito agli altri loro colleghi che sono la maggioranza e nei cui confronti è necessario che tutto il Paese nutra il rispetto democratico che meritano».
Non aiuterebbe il “rispetto democratico” identificare gli agenti, come avviene altrove in Europa, con segni distintivi?
«Guardi, francamente non ho ancora deciso se abbia più ragione chi, con ottimi argomenti, sostiene questo che lei sta dicendo o se, al contrario, sia altrettanto fondato il timore degli operatori che temono che questo metterebbe a rischio loro e le loro famiglie. E’ una questione delicata che non si risolve con l’accetta. Intanto, direi di cominciare a fare quello che ho detto. Isoliamo le mele marce, quando le troviamo, e ripaghiamo questi ragazzi che fanno un lavoro complicato, per stipendi modesti, con ciò che meritano. Rispetto e formazione. Formazione professionale e culturale. Io so e continuo a pensare che i nostri poliziotti e carabinieri sono come l’appuntato “Pecorella”, quello che non rispose alla provocazione del militante No Tav in val di Susa».
Crede che la ferita del G8 pesi ancora sulla piazza?
«Se dovessi rispondere pensando a quello che auspico, direi di no. Perché quella pagina è chiusa. Chiusa. E deve cominciare ad essere storicizzata. Se però devo fare una constatazione, allora la risposta è sì. Ritengo tuttavia non sulla maggioranza della piazza, ma sulla sua minoranza ideologizzata, che utilizza quella storia di 11 anni fa come carburante della violenza. Noi non dobbiamo assolutamente ripetere gli errori di allora. Chi va in piazza deve imparare a difendersi dalla propaganda dell’odio».
A proposito di propaganda, ha letto la “lettera al soldato blu” di Grillo?
«Quanto ha detto è da irresponsabile. È un esempio di sciacallaggio politico. Il Paese non ha bisogno di altri Masanielli. Ne ha avuti abbastanza. E per altro, il Masaniello originale non aveva nemmeno questo tono torvo, truce. Ma come si fa a evocare la guerra? Che c’entra quel richiamo a Pasolini? Di quale Italia stiamo parlando? In questo modo non si guida un Paese ma lo si porta alla distruzione. Questo Paese ha bisogno di responsabilità e di politica, quella che ho sentito stamane nelle parole del Capo dello Stato. Gli studenti al teatro Eliseo erano pronti alle contestazioni. Invece sono rimasti muti ad ascoltare il Presidente Napolitano. Perché hanno sentito la forza di un discorso pubblico che orienta, media, propone un orizzonte».
Il deficit di politica è anche un problema dei poliziotti. Il questore di Torino ha detto che le forze dell’ordine svolgono un lavoro di pura supplenza in un vuoto lasciato dalla politica.
«E il questore ha assolutamente ragione. Io dico di più. Facciamo attenzione, perché il vuoto, prima o poi, qualcuno lo occupa. E la storia insegna che non sempre è un’occupazione democratica».
Il sindaco Fassino ha definito i fatti di Torino, con l’aggressione al poliziotto isolato, e l’occupazione dei palazzi della politica un gesto «squadrista». Condivide la definizione?
«Assolutamente sì. Non trovo parole più adatte. E non è la prima volta».
Per questo ha rimandato la sua visita a Torino nei giorni scorsi? Per non confrontarsi con lo «squadrismo»?
«A Torino andrò presto. È un impegno che ho preso e che manterrò. Ma a Torino vado per ascoltare. Per raccogliere le voci degli ammini-stratori della val di Susa che sono stati sequestrati da una protesta violenta. Che ormai impegna da oltre un anno, ogni giorno, centinaia di poliziotti e carabinieri in scontri. Andrò quando capirò che il senso della mia visita è accolto per quello che vuole essere. Non vado per dare occasione a un’ennesima provocazione».
Nel 2001, a Genova, la piazza pacifica venne terrorizzata da tre giorni di guerriglia. Morì un movimento. Non crede che a forza di dire che la piazza è un luogo pericoloso, di agitare lo “spettro greco”, si voglia raggiungere lo stesso risultato: silenziare le ragioni di un’intera generazione cui è stato tolto il futuro?
«Gli studenti che a migliaia sono scesi in piazza esprimono le loro ragioni. Per questo vanno difesi nella loro libertà di manifestare. Ma questo può avvenire solo in una cornice di legalità complessiva. Dove la libertà di ciascuno finisce dove comincia quella dell’altro. Vale per i poliziotti. Vale per chi manifesta. Non vedo, francamente, un’altra strada. Io, da ministro, posso assicurare che il Viminale e il Dipartimento di Pubblica sicurezza farà la sua parte. Ha la vitalità per farlo e ha un capo, Antonio Manganelli, che in questo momento ha e merita la fiducia di tutti»
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