Primarie in fabbrica Il lavoro duro del Pd

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POMIGLIANO D’ARCO (NAPOLI). «Sono un esodato». Comincia male per Massimo D’Alema, che fa tappa nella ex cittadella rossa che ora ha un sindaco del Pdl, duemila operai Fiat che giusto ieri sono rientrati in fabbrica dalla Cassa integrazione, una volta erano 15mila, e il più popolare leader del Pd lo accoglie in una sezione di partito. Un’assemblea tra rassicuranti pareti familiari. Affollata, certo, del resto lo ripete lui stesso a chi lo attacca perché rifiuta il pensionamento: «Dovunque vado si raduna tanta gente». A Pomigliano nemmeno tutta ben disposta, perché non si scorda l’atteggiamento neutrale, quando andava bene, dei democratici rispetto al referendum Marchionne. Ma D’Alema non è uno che teme il confronto, è abituato – soprattutto a Napoli – alle assemblee dove lo interrompono e contestano; così, mentre Bersani è in giro per fotografiche opportunità , si carica il lavoro pesante. I titoli dei giornali sono tutti sugli esodati senza copertura e il primo intervento che il segretario cittadino del partito, 19 anni, gli mette davanti è quello di un esodato.
Poi parlano uno dei 19 operai iscritti alla Fiom sbattuti fuori da Fabbrica Italia e riportati dentro dai giudici, un’altra iscritta Fiom, un dirigente nazionale Fiom, un ex Cobas arrabbiato nero e in mezzo i rappresentanti ufficiali di Cisl e Uil. Anche loro di casa nel partito democratico. «Sono qui per i lavoratori, delle primarie non mi importa niente», dice D’Alema tra il bar e la sezione. Naturalmente non è del tutto vero e a chi gli chiede di Renzi risponde mettendosi a ridere. Due volte. Poi tocca ai lavoratori metterlo sotto. Sebastiano D’Onofrio, uno dei 19 in attesa di rientrare, si rigira tra le mani la dichiarazione di Bersani ai tempi dell’accordo separato, quando il segretario raccomandava che Pomigliano fosse solo «un’eccezione». Non proprio una posizione forte, e tutt’altro che un’eccezione si è visto poco dopo. Col senno del poi, anzi, dovrebbe essere facile riconoscere torti e ragioni. Il sindacalista Cisl dice che non bisogna dividersi sul nulla, il sindacalista Uilm rivendica una «scelta consapevole» all’epoca della firma separata in calce a quel piano Fabbrica Italia evaporato con i suoi 20 miliardi di investimenti e 6 milioni di auto da produrre; «non abbiamo subito ricatti», assicura. Massimo Brancato che è il responsabile Fiom per il mezzogiorno avverte che il futuro potrebbe essere anche peggio: la nuova promessa di Marchionne si chiama «premium» e la Panda di Pomigliano non è premium per niente.
D’Alema si ferma nel mezzo. «Non è compito del nostro partito dirimere le scelte diverse dei sindacati, noi dobbiamo lavorare per l’unità  dei lavoratori». Salva la «buona fede» di tutti e dice che adesso «chi al referendum ha votato sì magari a malincuore per salvare l’azienda» e chi «non ci credeva» devono insieme «incalzare» la dirigenza Fiat. Ma per Marchionne ha parole dure. Con la decisione di mettere in mobilità  19 operai per fare posto ai 19 reintegrati dai giudici «ha mostrato disprezzo per le fondamentali regole democratiche». «Non so chi ha potuto immaginare questa ritorsione, questa decimazione. Dev’essere una mente malata, è una mossa che ricorda gli anni Cinquanta». Una voce gli ricorda che non c’è solo quella, ma anche i reparti-confino di Nola per gli operai, molti Cobas, sgraditi all’azienda. «Appunto, una cosa da anni Cinquanta», conferma lui. E invece no, quei reparti sono storia di oggi.
Una cassintegrata dei quasi cinquemila che a luglio dell’anno prossimo rischiano di perdere anche il sussidio di 700 euro al mese, Carmen Abbazia, gli si rivolge così: «Il Pd è il mio partito, ma cosa devo rispondere quando mi dicono che anche noi abbiamo votato la cancellazione dell’articolo 18?». D’Alema non arretra: «Proprio la sentenza su Pomigliano dimostra che la nuova versione dell’articolo 18 non autorizza i licenziamenti discriminatori». Poi aggiunge: «Noi non siamo al governo, sosteniamo un governo che ha rappresentato un passo in avanti. E devo dire che diversi ministri hanno usato parole chiare per criticare la ritorsione della Fiat a Pomigliano. Se toccasse a noi, prenderemmo di petto l’azienda. Le diremmo che ha un dovere di chiarezza con i lavoratori e di riconoscenza con il paese. Ma rendiamoci conto che nessun governo può imporre alla Fiat di creare lavoro, viviamo in una società  capitalistica».
Una società  le cui macerie sono tutte ferocemente in mostra, a Pomigliano. Un territorio dove il welfare non arriva e dove il reddito familiare ha sempre dovuto supplire a quello che altrove è il benessere pubblico. Senza il diritto alla salute in un distretto inquinato, senza sicurezza, trasporti pubblici e istruzione a livelli decenti c’è solo il fai da te. L’abusivismo edilizio dilagante è una spia, ma qui l’individualismo più che una scelta è un obbligo di sopravvivenza. E così, perso l’unico posto di lavoro in famiglia, spinte nella povertà  immediata, migliaia di persone sono precipitate senza rete nella crisi. Alcune sono qui, di fronte a D’Alema che saluta sorridendo del suo destino di «rottamato» non più candidato al parlamento. Scherza: «Torno al movimento». Poi un vecchio compagno lo ferma: «C’è voluto Renzi per mandarti via, ma in pensione la Fornero non ti ci fa andare». Le battute sono il suo forte: «Sono un esodato anch’io».


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