Presi i sei rapitori Il capo della banda tradito dalle scarpe

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MILANO — L’ex collaboratore di giustizia barese Francesco Leone con condanne per tentato omicidio e sequestro di persona, l’imprenditore Pierluigi Tranquilli, il comasco Alessio Meier con contatti nelle banche svizzere, l’albanese evaso dagli arresti domiciliari Laurenc Tanko (13 anni per sequestro di persona), suo fratello Ilirjan (13 anni per rapina e violenza sessuale) e il connazionale Marjus Anuta (rissa e furto di rame) sono stati arrestati dal gip milanese Paola Di Lorenzo in una inchiesta dei pm Ilda Boccassini e Paolo Storari sul sequestro-lampo nella notte tra il 15 e 16 ottobre (ma denunciato solo il pomeriggio del 17) del contabile personale di Silvio Berlusconi, il ragioniere Giuseppe Spinelli, da sempre custode di tanti segreti patrimoniali dell’ex premier e pagatore da ultimo di Ruby e delle altre ragazze del bunga-bunga.
I banditi lo hanno sequestrato in casa con la moglie per costringerlo a telefonare a Berlusconi e chiedergli 35 milioni di euro in cambio di «una chiavetta e un Dvd» asseritamente contenenti «7 ore e 41 minuti di registrazione che avrebbero danneggiato De Benedetti in relazione al Lodo Mondadori» e il filmato di «una cena nella quale Fini avrebbe parlato ai magistrati pregandoli di aiutarlo a mettere in difficoltà  Berlusconi, per questo gli sarebbe stato grato tutta la vita»: storia raccontata a Spinelli mostrandogli una chiavetta (di cui però spiega di non aver potuto vedere il contenuto per incompatibilità  del formato col computer della coppia) e «un foglio A4, un pò ingiallito e sgualcito, con scritto in alto lodo Mondadori, De Benedetti, l’indicazione di due avvocati di cui una donna, i nominativi dei magistrati di primo grado, il dottor Forno questo nome me lo ricordo bene (in realtà  uno dei pm del caso Ruby, ndr), secondo grado c’era il nome di un presidente e di un giudice a latere ma non li ricordo». Spinelli ricorda di aver telefonato alle 8 del mattino del 16 ottobre a Berlusconi: «Gli dissi che mi era stato fatto vedere un pezzo di un filmato che io garantivo come autentico, dove si dava atto di un incontro tra Fini e i magistrati del lodo Mondadori, e che le persone che lo avevano erano disposte a cederlo soltanto con il 6% di 560 milioni di euro» del risarcimento di Fininvest alla Cir. «Io mi spesi molto con il Cavaliere, dicendo che conveniva pagare. Berlusconi disse che allora non sarebbe partito per Roma e mi avrebbe aspettato ad Arcore con il filmato». Gli aggressori ovviamente non vogliono, Spinelli insiste, Berlusconi lo fa chiamare dall’avvocato Ghedini, che «mi disse immediatamente che forse era una vicenda da trattare con i carabinieri». Spinelli, di fronte ai rapitori, insiste; Ghedini obietta che potrebbero «aver speso addirittura 1 milione di euro per fabbricarlo falso e pertanto, prima di pagare qualsiasi cifra, bisognava essere sicuri e nulla avremmo fatto senza un regolare contratto». Ghedini intuisce la situazione, «forse sospettando qualcosa mi chiese se ero libero di andare ad Arcore, io risposi tentennando». Sono le 9 del mattino e Leone, il bandito che poi verrà  tradito dalle sue scarpette rossonere e dal Dna lasciato sul tappo di una bottiglia, lascia libero Spinelli, preannunciandogli una telefonata per conoscere la risposta di Berlusconi dopo l’incontro ad Arcore. Alle 3 del pomeriggio Spinelli la riceve e tergiversa: i banditi, che gli avevano detto «se Berlusconi accetta buon per lui, se no perde un’occasione», sbattono il telefono. Il giorno dopo Ghedini denuncia. Assicura ora Spinelli: «Quando ho raccontato a Ghedini e Berlusconi la cena di Fini, tutti e due si sono messi a ridere e propendevano per un falso».


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«La Corte costituzionale – informa la Consulta con il suo comunicato del 4 dicembre – in accoglimento del ricorso per conflitto proposto dal Presidente della Repubblica ha dichiarato che non spettava alla Procura della Repubblica presso il Tribunale ordinario di Palermo di valutare la rilevanza della documentazione relativa alle intercettazioni delle conversazioni telefoniche del Presidente della Repubblica, captate nell’ambito del procedimento penale n. 11609/08 e neppure spettava di omettere di chiederne al giudice l’immediata distruzione ai sensi dell’articolo 271, 3 comma, c.p.p. e con modalità  idonee ad assicurare la segretezza del loro contenuto, esclusa comunque la sottoposizione della stessa al contraddittorio delle parti».

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