PIOVONO MINACCE

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Questa «minaccia» aprirebbe in realtà  uno scenario da sogno. Immaginiamo un grande corteo raggiungere indisturbato, in una città  completamente aperta, largo Chigi, piazza Montecitorio, piazza del Quirinale, i luoghi inviolabili della cittadella del potere, gridare le proprie ragioni, aprire i propri striscioni. Si scoprirebbe allora quanto lontana sia dall’immaginario contemporaneo la presa del palazzo d’Inverno, quanto la volontà  di occupare fisicamente una città  da cui ci si sente esclusi come persone e come cittadini prevarrebbe sull’istinto dello scontro, quanto l’immagine di questa presenza segnerebbe, per contrasto, la distanza delle vite reali dalla politica dei palazzi. L’assenza di un esercito renderebbe immediatamente superflua la formazione dell’altro. Assisteremmo all’esercizio di una forza pacifica in grado di farsi riconoscere senza timidezza e senza rassegnazione e di mettere in scena la propria diserzione dal mondo della rendita e dell’austerità . C’è da scommettere che non vedremo mai un siffatto scenario. Nessuno ci consentirà  di condurre questo esperimento per verificare se quanto immaginiamo risponda a verità , se un esercizio di democrazia reale sia ancora possibile. Al contrario aleggiano toni aggressivi, si esalta lo strumento cileno degli arresti differiti, si propone il dispositivo anticostituzionale del divieto di manifestare ad personam. E si mascherano dietro le responsabiltà  di singoli agenti ordini che provengono dai capi e strategie di gestione della piazza decise ai vertici. La violenza non è (salvo rare eccezioni) una scelta individuale né un inclinazione lombrosiana, ma una relazione, un linguaggio imposto dalle circostanze e dalle scelte politiche. 
In una singolare lettera comparsa su il fatto quotidiano il segretario generale del sindacato di polizia Siulp, Felice Romano sembra averne preso atto assumendo la provocatoria difesa «sociologica» dell’agente che manganella un ragazzo, ormai a terra, ma anche quella del manifestante che, in un altra immagine, prende a calci un poliziotto. Il Siulp difende i violenti? Niente affatto, denuncia una relazione e una condizione prodotta da un «sistema malato»che nelle piazze rivela i suoi esiti estremi. Una asimmetria tuttavia c’è ed è decisiva. Le giovani generazioni escluse politicamente dal futuro e dileggiate ideologicamente dagli uomini e le donne di governo sono state trasformate in una «classe pericolosa» meritevole di «tolleranza zero» e di risposte militari. Gli agenti di polizia, sfruttati e talvolta condotti all’esasperazione, non condividono affatto questa condizione e, almeno nella retorica del potere e nella presunzione di innocenza, godono di un occhio di riguardo. Non a caso di fronte alle proteste di polizia piovono promesse. Mentre, sul fronte opposto fioccano le minacce


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