by Sergio Segio | 27 Novembre 2012 7:22
Poco lontano, sui sedili posteriori di un’auto ferma e danneggiata dalle schegge, si intravedono invece i cadaveri di due maschietti. Un terzo è ripreso adagiato sulla barella di quello che appare il pronto soccorso locale. Qui l’obiettivo indugia. Percorre il corpicino sporco di polvere, gli occhi sbarrati, le gambe scomposte. Una mano pietosa abbassa la maglietta insanguinata a coprire lo stomaco.
Dal torrente sempre in piena delle immagini di distruzione e morte che da ormai venti mesi giungono dalla Siria colpiscono quelle pubblicate nelle ultime 48 ore dalle forze della rivoluzione e riferite al villaggio di Deir Al Safir, una dozzina di chilometri a est di Damasco. È bene sottolineare che non ci sono verifiche indipendenti. La fonte è riferita unicamente al campo dei ribelli. Ma le organizzazioni umanitarie internazionali tendono a ritenerle credibili. E puntano il dito ancora una volta contro la repressione brutale messa in atto dal regime con violenza sempre crescente. «Due caccia Mig lealisti hanno bombardato un campo giochi tra le case del villaggio. Ci sono 10 bambini morti. Nessuno ha più di 15 anni», ha dichiarato alla Reuters un certo Abu Kassem (il nome di battaglia), presentatosi come un attivista delle brigate rivoluzionarie locali.
L’accusa grave è che anche in questo caso l’aviazione lealista avrebbe utilizzato «bombe a grappolo», ideate per causare il maggior numero di vittime possibile. Il loro principio è semplice. Decine di cariche minori sono assemblate in una «bomba-madre». Questa in genere viene sganciata dal cielo ed esplode ad alcune decine di metri da terra spargendo il contenuto letale nell’arco di centinaia di metri, talvolta qualche chilometro. La maggioranza degli ordigni non scoppia all’impatto con il suolo, piuttosto crea pericolosi campi minati inaspettati per chi transiti nell’area. I filmati ripresi a Deir Al Safir mostrano una settantina di queste trappole innescate raccolte sul luogo del massacro, sul campicello dove i ragazzini giocano a calcio, vicino alle case. Pare siano vecchie, forse addirittura costruite nella Russia sovietica degli anni 60 e 70.
Già un mese fa l’organizzazione non governativa Human Rights Watch aveva segnalato l’aumento del ricorso alle bombe a grappolo da parte della dittatura. Ma i portavoce di Bashar Assad avevano negato, sostenendo addirittura che gli arsenali militari ne sono sforniti. Tuttavia la Siria (assieme a Stati Uniti, Russia e Israele) non ha mai firmato la convenzione internazionale che bandisce l’utilizzo di questo tipo di arma. A detta delle brigate rivoluzionarie siriane, le punizioni crudeli contro la popolazione civile sarebbero comunque il segno della disperazione crescente tra i dirigenti della dittatura. Più le cose vanno male e più Assad ricorre al tutto per tutto. E indubbiamente i ribelli guadagnano terreno. In meno di una settimana hanno catturato due basi militari lealiste. Ieri è stata presa quella di Marj Al Sultan, distante solo 15 chilometri da Damasco, assieme alla centrale idroelettrica di Tishrin, non lontano da Aleppo. «Preparati, Bashar figlio di un cane. Stiamo venendo a prenderti!», ritmano sempre più fiduciosi nelle canzoni di battaglia.
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