PERCHE’ IL PD HA CAMBIATO PELLE

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Lo schieramento progressista e in particolare il Pd ha cambiato pelle. Sicuramente non è più lo stesso partito che eravamo abituati a conoscere e a descrivere. Gli oltre tre milioni di elettori che domenica scorsa si sono messi in fila davanti ai seggi, hanno determinato un risultato senza precedenti consegnando di fatto le chiavi di questa “fabbrica” ancora in costruzione a Pierluigi Bersani, ma anche a Matteo Renzi.
Certo, i 9,5 punti percentuali che staccano il segretario dal sindaco appaiono una misura considerevole. I dati oggettivi che riguardano la distribuzione delle preferenze sull’intero territorio nazionale costituiscono un elemento interpretativo fondamentale. Il leader democratico ha vinto in 18 regioni su 20, nella stragrande maggioranza delle province e nei grandi centri urbani. Milano, Roma, Torino, Napoli hanno segnato il successo bersaniano. In Emilia Romagna, Lazio e Lombardia c’è una consistente prevalenza di Bersani. Lo sfidante ha la meglio in Toscana. Ma queste quattro realtà  rappresentano quasi i due terzi degli elettori regolarmente registrati. Ed è lì che si vince o si perde. La battaglia per il ballottaggio si giocherà  in queste regioni. Ma visti i dati di partenza, per Renzi si tratta quasi di una corsa ad handicap. ma come accade in tutti i ballottaggi non impossibile.
Una difficoltà  acuita da un regolamento che non permetterà  di aprire il voto di domenica prossima a “nuovi” partecipanti. La platea elettorale non cambierà , se non in minima parte. La polemica su questo punto è già  infuocata. È evidente che per il sindaco di Firenze si tratta ormai di una questione di vita o di morte. Solo ampliando la base dei votanti, può sperare di recuperare terreno. Contando sulla sua capacità  di penetrare anche quella porzione di cittadinanza tradizionalmente non di sinistra. Ma l’obiettivo resta comunque arduo. In assenza di una modifica – ormai impossibile – al regolamento, cercherà  allora di inseguire il “voto d’opinione”. Si lancerà  su quel 15% che ha scelto Vendola e che solo in minima parte è formato da militanti di partito. Un’operazione piuttosto complicata. Basti pensare che il distacco tra i due contendenti al momento è in termini assoluti di oltre 290 mila voti e il leader di Sel ne ha raccolti in tutti 485 mila. E per risalire la china, Renzi dovrebbe farli convergere tutti su di se. Senza contare che il Governatore pugliese ha già  fatto una sorta di endorsement nei confronti di Bersani. Certo, il ballottaggio riserva spesso delle sorprese. Non tutti quelli che hanno riempito i gazebo domenica scorsa, lo faranno anche tra quattro giorni e molti di coloro che hanno votato per Vendola, Puppato e Tabacci potrebbero rimanere in casa. Non a caso il primo obiettivo che in questa ultima settimana di campagna elettorale si sono fissati i duellanti è proprio quello di motivare i propri sostenitori e quelli dei tre “eliminati” nel tentativo di evitare sgradevoli fuoriuscite e di non abbassare troppo la soglia dei partecipanti.
Ma se la rincorsa di Renzi si presenta piena di incognite, si evidenziano alcune certezze. Che riguardano, appunto, entrambi gli sfidanti e attengono al futuro politico e organizzativo del campo progressista. Il segretario, con un milione e quattrocento mila preferenze, si è indubbiamente rafforzato. Nel partito e in tutto il centrosinistra. Soprattutto si è emancipato da quel blocco che ha controllato il Partito democratico ora e i Ds prima. Quei voti sono suoi e non provengono da nessuna corrente o da nessun “grande vecchio”. Non deve la sua vittoria a qualche leader storico. Si tratta di una vera rivoluzione per una struttura che si è connotata in questi venti anni per il dualismo D’Alema-Veltroni. Quel 45% Bersani lo potrà  gestire in completa autonomia e senza forme di dipendenza. Questo successo gli permette di superare ogni precedente assetto. Una svolta vera e propria che si sta accompagnando con un’altra novità : un neonato patto generazionale. All’ombra del duello Bersani-Renzi, infatti, si è chiuso un accordo trasversale che mette insieme tutti – o quasi – i giovani del centrosinistra. Interessati in primo luogo ad un ricambio effettivo e a tutti i livelli. E del resto, il primo a beneficiare di questo mutamento è proprio Bersani: in occasione del voto delle primarie. Ma anche in futuro farà  valere il nuovo corso. basti pensare a quel che accadrà  al momento di stilare le candidature per il Parlamento. Il segretario – grazie allo scontro di questi giorni – sarà  meno pressato dai “big” del partito e avrà  la possibilità  di non fare concessioni gratuite a quegli esponenti che – resistendo – restano il simbolo di un’altra stagione.
In questo quadro il segretario del Pd non potrà  che accelerare da lunedì prossimo le sue tappe di avvicinamento proprio nei confronti di Renzi. Cercherà  di coinvolgerlo, di renderlo partecipe – nel rispetto dei risultati delle primarie – nella gestione del nuovo centrosinistra. Anche perché il sindaco di Firenze si trova – con le dovute proporzioni –nella stessa situazione di Bersani: ha raccolto un milione e centomila preferenze, non pochi. E si tratta anche in questo caso di voti suoi, non di altri. Un risultato che lo pone di fatto come seconda “architrave” del Partito democratico. Ma soprattutto nessuno può pensare che quel milione di elettori possano essere dispersi o trascurati nella corsa verso le elezioni politiche del prossimo marzo. Senza contare che in termini percentuali, in occasione del ballottaggio, il 45% di Bersani e il 36% di Renzi sono destinati a crescere. Formando di fatto il nuovo asse che piloterà  il centrosinistra nei prossimi anni. E sicuramente da qui alla formazione del prossimo governo.


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