PANTERE GRIGIE. UN MANIFESTO PER IL FUTURO DEI CINQUANTENNI

by Sergio Segio | 7 Novembre 2012 5:53

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Ce lo immaginiamo che corre la mattina presto lungo i viali di Central Park o sul tapis roulant di una palestra newyorkese, mentre un’apposita cuffia gli inocula dalle orecchie al cervello l’audiolibro di un saggio sull’economia globale.
Il maratoneta Federico Rampini, figura d’inviato e analista certo familiare ai lettori del nostro giornale, non si era mai raccontato in questa invidiabile postura di portavoce delle ansie di una generazione protesa a elasticizzare addirittura il proprio ciclo biologico.
Parla proprio di noi e delle nostre ansie, Rampini, nel suo nuovo saggio (Voi avete gli orologi, noi abbiamo il tempo. Manifesto generazionale per non rinunciare al futuro,
Mondadori). Dove per noi s’intende l’immensa platea occidentale dei baby boomer diventati pantere grigie, figli di un’epoca ancora senza pillola, vicini a usufruire di un welfare che non regge più il loro peso e quindi minacciati – si direbbe oggi in Italia – di prossima rottamazione.
Rivelando il suo background che tiene insieme l’autodisciplina dello yoga intrapreso all’età  di 15 anni con la cultura economica della sinistra riformista solidificata da una visione cosmopolita, Rampini getta il cuore oltre l’ostacolo dell’età  che avanza. Dimostra che si può “far tesoro della materia grigia delle pantere grigie” rifiutando i luoghi comuni che ci descrivono come peso insostenibile, massa obsoleta, bieco ostacolo alle legittime aspirazioni dei giovani che la crisi demografica ha ridotto a minoranza penalizzata.
Certo il pubblico italiano leggerà  con stupore il racconto di una società  americana che affronta già  con ben altro dinamismo il dramma di chi perde il lavoro a 50 anni, sprigionando un’energia vitale inaspettata che oltrepassa la guerra culturale tra progressisti e conservatori. Cioè tra chi appunto rivendica il modello di vita libertario e narcisistico che ha snaturato la forma tradizionale delle famiglie, tipico negli Usa della fascia d’età  che va da Bill Clinton fino a Barack Obama; e chi invece li accusa di impersonare un permissivismo che ha messo in crisi il sistema.
Dobbiamo sentirci in colpa per la vita fortunata che ci è toccata in sorte nell’oltre mezzo secolo di pace e crescita economica goduto dall’occidente, da cui rischia di rimanere tagliata fuori la Generazione Millennio venuta dopo? Un tale Michael Winerip risponde così sull’apposito blog del New York Times: «Stavo per chiamare il Telefono Amico e avvisarli degli abusi subiti dai miei figli, ma il mio cellulare non funzionava. Allora ho chiesto ai miei figli uno dei loro telefonini: so che funzionano bene visto che glieli ho pagati io. E non ho avuto difficoltà  a contattarli: vivono tutti in casa mia. Già , sono loro la Generazione Millennio che io starei deruquale
bando del suo futuro. Non solo vivono in casa mia e mangiano a casa mia, ma guidano automobili che ho comprato io e vanno all’università  perché la retta la pago io».
Rampini naturalmente rifiuta questa sterile contrapposizione e spiega come «tra le energie umane da mettere o rimettere in moto ci siano tanto i giovani disoccupati quanto i giovani pensionati o pensionandi». Non solo immagina, ma già  descrive attraverso numerosi racconti di vita il New Deal possibile attraverso un fertile incontro nel sapere degli uni può, dal basso, favorire l’esperienza degli altri venuti dopo.
Ma prima di addentrarci sul terreno affascinante delle potenzialità  derivanti dalla scoperta di una nuova età  adulta, prolungata dai progressi della medicina e dalla trasformazione antropologica del nostro orizzonte di vita, è necessario misurarsi coi pericoli indotti da un giovanilismo che la società  dei consumi ha trasformato in ideologia, facendo della longevità  un business. Va bene, ci siamo abituati al fatto che il 95% delle donne di mezza età  ormai si tingano i capelli, e i maschi presto le seguiranno, anche se nel frattempo le più sicure di sé nell’emancipazione cominciano a rivendicare dalla chioma i segni dell’età . Ma fino a dove può portarci il rifiuto della vecchiaia? Se diventare nonni è un piacere sempre più spesso precluso alla nostra fascia di popolazione, a causa della penuria di figli e della loro riluttanza a procreare da giovani, dovremo necessariamente considerare la condizione esistenziale del vecchio un’esperienza detestabile cui sottrarci con goffi e patetici tentativi di dissimulazione?
Rampini ci spiega che gli over 55 vissuti a cavallo tra due epoche, genitori sotto processo, sperimentano il dilatarsi del tempo e devono imparare a farne tesoro, prima di affrontare l’inesorabilità  successiva del tempo vitale. Evidenzia cioè la paradossale discrasia fra il dibattito pubblico sui baby boomer e la dimensione privata della loro (nostra) esperienza: ciò che su scala collettiva viene additato come piaga sociale – la formazione di una massa eccessiva di adulti con potenzialità  lavorative e aspirazioni al benessere – è il prodotto di una somma di opportunità  fortunate. I progressi della medicina. Il benessere acquisito col lavoro. Le tutele sociali. Il desiderio sessuale inesausto. La possibilità  di sviluppare nuove relazioni e di soddisfare le proprie aspirazioni culturali oltre una soglia anagrafica considerata fino a ieri insuperabile. Perché dovremmo avvertire tutto ciò come una colpa? Nota Rampini come i beni che definiscono la vera qualità  della vita – salute, istruzione, diritti – sono in qualche modo «legati a servizi collettivi, beni comuni. E questo, piaccia o no, è un innegabile riscatto dei valori nei quali molti di noi hanno creduto, a partire dagli anni Sessanta e Settanta». Se pure sono cresciute le disuguaglianze di reddito e le ingiustizie sociali, su alcuni terreni sostanziali la nostra generazione può cantar vittoria.
Certo l’Italia oggi è il paese in cui si discute piuttosto di rottamazione. E l’immagine del giovanile cinquantenne Rampini che macina ottimista chilometri
su chilometri di corsa per tenere in allenamento i muscoli e il cervello si scontra con quella dei suoi coetanei esodati, dichiarati vecchi anzitempo e abbandonati a se stessi. L’Italia fanalino di coda della demografia e del debito pubblico diviene così nel suo saggio un potenziale laboratorio sociale di iniziative dal basso che suppliscano alla ritirata dello Stato e dei privati. Il paese ideale per vivere la riscossa dell’Età  del Bis, coltivandone le vocazioni. Senza avere paura degli orologi.

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