Obama in Asia per scippare i “satelliti” alla Cina
BANGKOK — Barack Obama arriva oggi in Asia, la destinazione che ha scelto per il suo primo viaggio da “presidente rieletto”. Divampa il Medio Oriente e richiede la sua massima attenzione, tuttavia il presidente resta fedele alle sue priorità geopolitiche ed economiche. Che emergono chiare da questo spostamento strategico: per la prima volta nella storia le risorse militari degli Stati Uniti a cominciare dalla Navy non sono più ripartite 50/50 tra Atlantico e Pacifico, ora il 60% si concentra sull’Asia-Pacifco.
Bangkok è la prima tappa di una tre giorni storica che lo porterà in paesi che nessun presidente americano ha mai visitato. Birmania e Cambogia. Qui l’East Asian Summit sarà anche l’occasione per il primo dialogo Usa-Cina dopo i due eventi politici che hanno designato i vertici delle superpotenze: a pochi giorni di distanza, la riconferma di Obama alle urne e l’avvicendamento “opaco” ai vertici della Repubblica Popolare (che però al summit sarà ancora rappresentata dal premier uscente Wen Jiabao).
Obama è convinto che l’Asia-Pacifico diventerà il nuovo baricentro mondiale e che l’America deve preservare la sua leadership in quest’area. I suoi viaggi in India e Indonesia nel 2010 disegnarono una “dottrina Obama” imperniata sull’alleanza fra le tre maggiori democrazie del pianeta. In seguito, nonostante il presidente fosse assorbito dalla politica interna, con una sofferta campagna elettorale (e all’estero i focolai di crisi dell’eurozona e delle primavere arabe) un segnale chiaro è stato l’invio di 2.500 marine in Australia. Un gesto per confermare l’impegno americano nel Pacifico, che infatti ha prontamente suscitato nervose reazioni in Cina. Gli Stati Uniti si propongono come un attore decisivo per la stabilità e la pace in quest’area, anche offrendo i propri buoni uffici nella querelle sempre più aspra tra Cina e Giappone sulle isole contese, ricche di giacimenti energetici offshore. Durante il vertice Obama cercherà di placare l’escalation degli opposti nazionalismi di Pechino e Tokyo parlando coi due premier. La Cina corre il rischio di isolamento, se le sue ambizioni appaiono minacciose a tanti Stati vicini di quest’area. Le contese su giacimenti offshore la oppongono anche a Filippine, Vietnam, Taiwan. Per contenere l’espansionismo cinese, il Vietnam ha compiuto un passo inaudito: ha messo alcune sue
basi militari a disposizione degli Stati Uniti. Cancellando ogni residua traccia della guerra che oppose Hanoi a Washington fino a 37 anni fa.
Un’evoluzione simile avviene in Cambogia dove il governo ha ottenuto un’assistenza militare Usa con il pretesto dell’“addestramento antiterrorismo” (in un paese dove non esiste terrorismo). Anche la Cambogia fu martoriata dai bombardamenti americani, vittima collaterale di una guerra non dichiarata e illegale (una delle pagine più indegne dell’Amministrazione Nixon). E anche la Cambogia come il Vietnam ha voltato pagina abbracciando l’America per avere un contrappeso alla penetrazione cinese. Obama vuole consolidare questo ruolo, contando sul soft power americano che Pechino non riesce ad eguagliare. La sua visita coincide anche con un rallentamento della locomotiva cinese che si propaga nel resto dell’Asia. L’economia sarà un tema caldo del summit: dall’asse Asia-America si attende un aiuto contro l’effetto recessivo dell’eurozona. Altro tema in primo piano: i diritti umani, con le due storiche visite in Birmania e Cambogia domani. Due paesi dove il ristabilimento dei rapporti con l’America non ha segnato un vero rinnovamento delle classi dirigenti, e questo rallenta l’evoluzione verso la democrazia e lo Stato di diritto.
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