Obama gioca la carta Hillary in Medio Oriente per fermare le armi

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PHNOM PENH — Altro che pensionamento. Nel momento della suprema emergenza Barack Obama non può fare a meno di lei. Hillary Clinton non esita un attimo, riveste la divisa di lavoro, scatta verso l’impresa più difficile. Le dimissioni possono aspettare: e questa si chiama grinta. Ancora due notti in bianco, una qui in Cambogia per lavorare col presidente a tessere le fila del possibile cessate il fuoco tra Hamas e Israele; l’altra sull’aereo di Stato in volo verso il Medio Oriente, per preparare i dossier delle tre tappe cruciali della sua missione di oggi: Israele, Cisgiordania, Egitto. Ieri sera l’incontro a Gerusalemme con il premier israeliano Netanyahu per cercare di ottenere «un’intesa duratura» che ponga fine alle violenze e riaffermare che l’impegno degli Stati Uniti per difendere la sicurezza d’Israele è «forte come una roccia».
E pensare che proprio ieri, incrociando alcuni giornalisti nel suo albergo qui a Phnom Penh, Hillary si era abbandonata a un momento di emozione, al pensiero che questo vertice Asean dovrebbe essere il suo ultimo viaggio da segretario di Stato con Obama. «È stato bello ma agrodolce, pieno di nostalgie». Aveva parlato troppo presto. Adesso anche la data delle sue dimissioni sembra in dubbio. Voleva andarsene in coincidenza con l’insediamento ufficiale di Obama Due, il 20 gennaio. Ora l’emergenza in Medio Oriente proibisce di fare previsioni. La Clinton, combattente disciplinata come sempre, ha già  detto che resterà  «fino a quando il presidente non designerà  il successore, e il nuovo segretario di Stato supererà  la procedura della conferma». Intanto la vera priorità  che detta i tempi è spegnere l’incendio israelo-palestinese.
La decisione l’hanno presa insieme, in una notte di convulse consultazioni internazionali. Alle due e mezza del mattino fra lunedì e martedì Obama e la Clinton erano ancora svegli, al diavolo il jet-lag, impegnati a sentire tutti gli attori del dramma: almeno
tre telefonate al presidente egiziano Mohamed Morsi e al premier israeliano Benjamin Netanyahu. La mattina Obama sbadigliava vistosamente durante il vertice Asean, nonostante il bicchierone di caffè Starbucks sul tavolo. E appena possibile, ad ogni pausa dei lavori del summit asiatico il presidente tornava ad appartarsi. Sempre con lei, Hillary. Insieme hanno deciso che lei sarebbe partita, subito. La sua presenza nel centro del conflitto è la massima prova di impegno americano, anche se la Casa Bianca è consapevole dei rischi che questo comporta.
L’ultima prova dell’indispensabile Hillary, rilancia tutte le scommesse sul suo futuro politico. Nessuno, a cominciare da Obama, sembra disposto a credere alla versione ufficiale che lei diede già  un anno fa, quando disse che era davvero stanca di questo mestiere, che voleva dedicare tempo a se stessa, «viaggiare finalmente per puro piacere». Magari fare la nonna. Lei che ha polverizzato il record di tutti i segretari di Stato, visitando 100 nazioni in quattro anni (alcune delle quali più volte), può davvero essere stanca? A 65 anni si considera pensionabile, una donna con questa energia e in una forma così vigorosa? Se il primo a dubitarne è Obama, è perché in quattro anni ha imparato a conoscere Hillary come pochi altri. Non sono diventati amici, perché sono troppo diversi, ma la loro alleanza politica e l’affiatamento sul lavoro, hanno raggiunto vette formidabili. Il merito è soprattutto di lei. Era Hillary ad avere l’orgoglio ferito, per la sconfitta nelle primarie democratiche del 2008. Era stata lei a farsi pregare con insistenza, prima di accettare un incarico che non voleva. Poi il miracolo: frutto della sua disciplina, dell’autocontrollo, e anche di una lealtà  ammirevole.
Questo summit asiatico è ricco di aneddoti. Hillary sempre attenta a non rubare il proscenio, sempre indietro di un passo rispetto al suo presidente. Perfino quando vanno a casa della sua carissima amica Aung San Suu Kyi lei resta in disparte, è la Lady birmana ad accorgersene e a correrle incontro per abbracciarla. E alla conferenza stampa nella villa sul lago di Yangoon, il presidente gioca con questa modestia. Fa finta di non trovare più il suo segretario di Stato, interrompe la dichiarazione e si guarda attorno: «Hillary, dove sei sparita?» Poi c’è la storia del monaco, nel convento buddista Wat Pho di Bangkok, su cui circolano versioni contrastanti. Il monaco avrebbe detto a Obama che il Buddha coricato gli porterà  un terzo mandato (vietato per legge in America, ma fu fatta un’eccezione per Franklin Roosevelt). Secondo la stampa thailandese è Obama ad essersi girato verso Hillary, per indicare al monaco il futuro presidente nel 2016.
La base del partito non ha dubbi. L’ultimo sondaggio tra gli elettori democratici la vede favoritissima per la nomination del 2016 con oltre il 60% dei consensi, mentre Joe Biden che arriva secondo non raggiunge il 20%. Un buon piedistallo, per cominciare la raccolta fondi.


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