Morire di recessione

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I ricercatori (studiosi di Cambridge e di Stanford) hanno correlato il tasso dei suicidi al tasso della disoccupazione: è stato riscontrato che a un aumento dell’1% della disoccupazione corrisponde un aumento dell’1% dei suicidi. Tra il 2008 e il 2010 c’è stato un eccesso di 4750 suicidi negli Stati Uniti attribuibile alla recessione. Per avere un’idea si potrebbe dire che nel triennio 2008-2010 la crisi economica è costata agli Stati Uniti più morti che l’attacco alle Torri Gemelle. Di questi morti solo un quarto all’incirca (1330) sono direttamente correlati alla perdita del posto di lavoro. Ciò significa che l’ammalarsi di depressione durante le crisi dell’economia ha ragioni più complesse del peggioramento drammatico della propria posizione economica: origina anche, e soprattutto, dal degrado delle relazioni sociali e personali. Ricerche recenti fatte in Europa hanno dato risultati analoghi ai quelli ottenuti negli Stati Uniti. Sono dati allarmanti a cui prestiamo un’attenzione distratta. Per quanto spiacevole sia, la morte dei nostri concittadini viene vissuta come destino ineluttabile, più o meno come le morti di massa causate periodicamente dalle catastrofi naturali. Senza, tuttavia, l’elemento drammatico che caratterizza queste ultime. Disperse nel tempo e nello spazio geografico le morti per suicidio che le catastrofi sociali causano non ci colpiscono, raggruppate come sono solo nel freddo registro delle statistiche. Tutto sommato chi cede in modo così irreparabile di fronte alla crisi ci appare come persona già  minata e vulnerabile, un albero debole che il primo vento forte spazza via. Con quel cinismo inconsapevole che chiamiamo spirito di sopravvivenza siamo rassicurati dal fatto che questa sorte è toccata a lui e non a noi. Errore grave perché queste morti per cedimento psicologico ci riguardano molto più da vicino rispetto, ad esempio, alle vittime di un terremoto. La difficoltà  di farsi carico dei morti suicidi a causa della recessione attuale ripropone la riluttanza ad accettare e elaborare il lutto che la crescita precedente ha creato (per via dei cambiamenti bruschi che ha promosso). La reazione alla crisi tende a riprodurre l’atteggiamento psicologico antidepressivo con cui sono stati ignorati i problemi nel momento in cui si affacciavano. Sulla negazione antidepressiva di una crisi che covava da molto si sono costruite grandi fortune politiche e economiche che hanno fatto tendenza. Una corsa continua al rilancio, un drogarsi perenne con le forme di eccitazione più varie che ci ha allontanato sempre di più dai nostri desideri e bisogni reali e ha alterato ampiamente il senso della nostra esistenza. La recessione dello scambio affettivo e culturale, che ha preceduto quella economica, ha ucciso la parte creativa del nostro rapporto con il lavoro e con la sfera dei sentimenti. I morti della crisi sono scomodi perché nel loro gesto estremo si riflette la corsa suicida del nostro modello di sviluppo.


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