Monti nel silenzio della politica

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Una indicazione politica anticipata del Capo dello Stato che operava in via di supplenza in un difficile momento di transizione, con un governo in agonia (quello di Berlusconi) e un’opposizione debole e senza maggioranza parlamentare.
Fu forse in ragione dell’emergenza che nessuno ebbe a ridire, almeno pubblicamente. Quella nomina fu pienamente politica e spianò la strada al governo Monti. Una decisione certamente legittima, espressione però di una visione emergenziale, la quale assegnava al Capo dello stato il ruolo di “reggitore dello stato di crisi”. Non è ora il caso di discutere ogni singolo atto (tra cui la nomina a senatore a vita di Mario Monti) che Napolitano ha compiuto al fine di superare la crisi, più utile appare ricordare quali sono le conseguenze di quegli atti e di interrogarsi sul seguito della storia.
Per dirla in breve: il carattere emergenziale che ha segnato la nascita e legittima la permanenza dell’attuale governo deve avere nel più breve tempo possibile una sua conclusione. Ciò che è possibile fare per ragioni si straordinaria necessità  e urgenza non è possibile sia protratto oltre un tempo limitato. Se l’eccezione diventa la regola, infatti, si mette a rischio l’ordinaria stabilità  dei rapporti politici e costituzionali. Se si dovessero analizzare – e dovremmo pur farlo prima o poi – gli atti del governo Monti (ma anche degli altri organi costituzionali) posti in essere “fuori dell’ordinario” ci accorgeremmo di quanto si stia sottoponendo a stress l’ordine costituzionale delle competenze. Basta pensare al monopolio legislativo dell’esecutivo che ha definitivamente esautorato il parlamento.
Uscire dall’emergenza il prima possibile, dunque. Ma è verosimile? A differenza di quanto ritengono in molti, personalmente non penso che ciò sia impedito dal protrarsi della crisi economica. Chi l’ha detto, infatti, che la crisi economica permanete del sistema capitalistico attuale non possa essere affrontata nel rispetto dell’ordine costituzionale e sulla base di definite politiche di governo? In Europa e nel mondo la regola è quella di legittimi governi politici che operano entro un indiscusso e rispettato ordine costituzionale. Governi ai limiti dell’eccezione sono solo quello italiano e – per profili in parte diversi – quello greco.
Ciò che, in Italia, rende difficile tornare all’ordinario è altro: l’afasia della politica. Una paralisi dalla quale non sembra si riesca ad uscire. Sin tanto che i partiti politici continueranno a baloccarsi su chi deve essere rottamato, chi deve guidare questo o quello schieramento, a chi spetta andare in tv per dire parole vuote, non ne usciremo. La malattia d’altronde è più grave di quel che appare: basta guardare a quel che succede non appena le forze politiche sono chiamate al confronto su un tema propriamente politico e vitale per la sopravvivenza della nostra democrazia rappresentativa, senza l’ausilio della tecnica al governo. Penoso lo spettacolo della discussione sulla riforma della legge elettorale, diventata un mercato in cui si barattano premi e premietti, dove i tatticismi stanno uccidendo ogni possibilità  di uscirne con dignità .
È il silenzio della politica che inquieta. In assenza di uno scontro reale su programmi diversi non può stupire che stia montando la richiesta di continuare con l’eccezione di un governo che non ha bisogno dei normali canali di legittimazione, neppure di quello che si pone a fondamento della democrazia moderna. Monti, senatore di nomina presidenziale e a vita, non può scendere in campo, non ne ha bisogno. È la politica che ha bisogno di lui, con buona pace per le normali regole della rappresentanza politica. La Costituzione non ne rimarrà  indenne


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