Mattoni «liquidati»

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In sostanza, è il clamoroso crack del «modello veneto». Mercoledì 24 ottobre 2012, su disposizione della Procura della Repubblica di Verona, la Guardia di finanza esegue misure cautelari in carcere nei confronti di Giovanni Barone, 43 anni, residente a Lamezia Terme (Catanzaro), Luigi Foroni, 62 anni, residente a Villafranca (Verona) e Giuseppe Tardivello Rizzi, 64 anni, residente a Soave (Verona), con l’accusa di bancarotta fraudolenta per il fallimento della Rizzi Costruzioni Srl di Verona. Una notizia che rimbalza dalle colonne dell’ Arena fino al Viminale. Non può passare inosservata un’azienda che fattura circa 8 milioni di euro all’anno e vantava fino a pochi anni fa grande credito con le banche e i professionisti del ramo. La Costruzioni Rizzi – in base alla ricostruzione degli inquirenti – sarebbe stata prosciugata di oltre 700 mila euro. Soldi «dirottati» dalle casse dell’impresa ai conti correnti dei liquidatori. I riflettori si accendono sul nome di Barone. Lo stesso che compare nell’inchiesta «Tenacia» con cui nel 2010 la Procura di Milano si preoccupa delle infiltrazioni della ‘ndrangheta che si evidenziano nel faldone dedicato al fallimento della società  di costruzioni Perego Strade Srl. Barone anche lì era liquidatore della società : dal 4 novembre 2008 fino alla fine. E nell’ordinanza firmata dal gip Giuseppe Gennari il 6 luglio 2010 si legge come Barone ha «precedenti per reati contro la pubblica amministrazione, oltraggio, resistenza e violenza, falso in genere, falsa attestazione a pubblico ufficiale, omessa custodia di armi». Ma è anche lo stesso Giovanni Barone che spicca nel «caso Edilbasso» che da un paio d’anni fa tremare non soltanto i creditori. Si tratta della storica impresa edile della famiglia di Loreggia, il Comune padovano con la più alta concentrazione di muratori, betoniere e immobiliaristi. Un municipio retto da una maggioranza «civica» bipartisan : due mandati da sindaco per Maria Grazia Peron, capo di gabinetto di Flavio Zanonato a palazzo Moroni. Basso è stato a lungo il sinonimo di una vera e propria holding dell’edilizia: sponsor del volley di serie A; pronta con le altre sei imprese «sorelle» a realizzare il mega-progetto di Boris Podrecca a due passi dagli affreschi di Giotto; con in portafoglio aree edificabili, ristrutturazioni, appalti sanitari e lavori pubblici. Edilbasso nei tempi d’oro vantava 60 milioni di euro di valore della produzione con una posizione finanziaria pari a 15,7 milioni. Nel 2010 la svolta con un deficit di 33 milioni 437 mila euro che spalanca l’incubo dei libri in Tribunale. E a giugno 2011 scatta il concordato fallimentare, con i creditori che cercano soddisfazione. Il 19 luglio 2012 la prima sezione civile del Tribunale di Padova rigetta le opposizioni e con l’omologa (certificata dal giudice Caterina Santinello che firma il provvedimento) fa morire la «vecchia» Edilbasso ma attraverso il passaggio di testimone a un’altra società . È la FaberSrl con sede in via dell’Artigianato 9 a Loreggia, esattamente come Edilbasso. Costituita il 21 gennaio 2011 con 100 mila euro di capitale sociale da Paolo Simion (10% delle azioni) e Algisa Srl, società  della famiglia Basso con sede in via degli Scrovegni 1 a Padova che detiene il 90%. Da allora un vortice di trasferimenti di proprietà , compreso lo scambio di azioni con Barone: il 16 marzo 2011 Algisa gli cede il 65% delle quote di Faber che verranno restituite il 28 giugno alla famiglia Basso. È la «finestra» temporale che coincide con la procedura di concordato fallimentare Edilbasso: il 18 febbraio 2011 era entrato in vigore il contratto d’affitto di ramo d’azienda (60 mila euro all’anno più Iva) a favore di Faber. La polpa Edilbasso è tutta in tre appalti: la soppressione di un passaggio a livello lungo la MantovaMonselice (bando della Provincia di Verona); la nuova Psichiatria dell’ospedale Sant’Antonio (Usl16 di Padova); progettazione, costruzione e gestione della nuova sezione di incenerimento nell’impianto di Ca’ del Bue in project financing (con Agsm di Verona). L’arresto di Barone, dunque, risuona da campanello d’allarme fra Verona e Padova (i due veri poli del Veneto in versione vetrocemento). Il «ciclo del mattone» moltiplica i suoi effetti collaterali e si dimostra più in crisi dell’economia manifatturiera. E forse maggiormente esposto agli interessi della criminalità , più o meno organizzata. Uno scenario cui lavora da molto tempo Rocco Sciarrone, sociologo dell’Università  di Torino: «La presenza mafiosa è diventata molto più affaristica e può trovare una sponda favorevole in alcuni comitati d’affari che non sono di per sé criminali, ma che prolificano sulla base di scambi occulti e dinamiche di corruzione. I confini sono molto labili: gli affaristi si muovono al limite delle regole di mercato e la ricerca del consenso politico è al limite della legalità ». Tant’è che perfino Pietro Grasso, capo della Direzione nazionale antimafia, al recente festival nazionale di Avviso Pubblico a Padova ha scandito: «Il problema, qui, è che si attende che ci siano dei reati prima di cominciare le indagini. Invece servirebbe andare oltre e scavare prima che ciò accada. Mi rendo conto che è molto difficile avere la prova che il denaro investito qui è di provenienza illecita, perché le risorse liquide delle mafie reinvestite al nord non puzzano, qui i loro soldi sono «’profumati’…».


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