Maroni: lasceremo il Parlamento E chiama i sindaci alla rivolta

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BOLOGNA — Il «soldato» Maroni suona la carica: «Via da Roma». La pioggia che martella mezza Italia risparmia Bologna e la prima delle manifestazioni «nazionali» della Lega contro il «FalliMonti», il governo «nemico del Nord» responsabile del «peggior attacco mai portato alle economie dei nostri territori». Ma il proclama non basta più, ci vuole il gesto di rottura eclatante. E allora, tra le urla che inneggiano alla secessione, il segretario leghista cala il suo asso: «Dopo l’approvazione della legge di Stabilità  e della legge elettorale, proporrò al consiglio federale che la Lega ritiri le proprie delegazioni da Camera e Senato». Certo, c’è ancora da approvare la legge elettorale. Ma quella «si deve fare prima di Natale, dopodiché la vicenda del governo Monti è chiusa».
Inevitabile che la memoria corra al 1924, quando i parlamentari socialisti abbandonarono l’aula di Montecitorio in seguito all’assassinio di Giacomo Matteotti. Maroni, però, rifiuta il paragone: «Non è un Aventino, ma una fase nuova. Quella che Umberto Bossi anni fa chiamò il progetto egemonico della Lega. Vogliamo diventare il primo partito delle Regioni del nord». Di più. Annunciando la kermesse di amministratori locali convocata per il 24 novembre, Maroni fa balenare l’ipotesi di una serie di azioni di protesta contro il patto di stabilità  che «potranno arrivare alla protesta fiscale, allo sciopero, fino anche alle dimissioni di massa. Noi facciamo sul serio».
In parallelo al ritiro da Roma, arriva l’arroccamento su Milano. Con un annuncio che non si può dire inatteso: «Se domani (oggi, ndr) il consiglio federale mi chiederà  di candidarmi in Lombardia, io dirò di sì. Ci metto la mia esperienza, la mia volontà  e il mio entusiasmo e, se il consiglio me lo chiede, io obbedisco perché sono un soldato della Lega».
Insomma, la forza centrifuga continua ad allontanare il Carroccio dai vecchi alleati. Ieri, è vero, il segretario pdl Angelino Alfano è tornato a ribadire la sua volontà  di dialogo: «Troveremo un modo per gareggiare insieme e non l’uno contro l’altra, anche perché in Lombardia abbiamo governato bene». Eppure, il nodo della candidatura di Gabriele Albertini continua a occupare il centro della scena. L’ex sindaco di Milano, tra l’altro, nel suo videomessaggio ha insistito sul profilo di società  civile suo e dei suoi sostenitori. Per tacere dell’auspicio di un Monti-bis come «unica ipotesi possibile». E dunque, Maroni sembra rispondere a lui e, insieme, inviare un messaggio ad Alfano quando a Bologna osserva che «non si può pensare che i partiti, e in particolare la Lega, rinuncino al loro ruolo, quasi dovessero vergognarsi di se stessi. Io rivendico per la Lega un ruolo politico con la P maiuscola». Per dirla con uno strettissimo collaboratore di Maroni, «un Pdl che si fa mettere in riga da Albertini non può essere nostro alleato. O noi o lui». Unico segnale positivo dal punto di vista delle alleanze, il fatto che la Lega non intenda, per il momento, premere a fondo sull’acceleratore riguardo alle promesse liste a sostegno di Maroni. Una volta che dovesse farlo, la partita sarebbe conclusa e la corsa solitaria certa.
E Umberto Bossi? A Bologna c’era anche lui: ha abbracciato Maroni sul palco, e ha paragonato Mario Monti «alla strega di Hansel e Gretel. La strega è stata buttata nella stufa, altrimenti i due fratelli erano ancora prigionieri».
Maroni conclude la sua giornata bolognese firmando pile su pile del suo libro «Il mio Nord – Il sogno dei nuovi barbari». Ma in mano continua a rigirarsi la monetina da due centesimi che ha raccattato per terra arrivando alla manifestazione: «Lo sanno tutti che trovar soldi porta fortuna».


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