«Licenziata perché incinta»
«La cosa peggiore è il modo in cui sono stata trattata: hanno cercato di toglier- «La cosa peggiore è il modo in cui sono stata trattata: hanno cercato di togliermi la dignità di donna». Racconta con queste parole la sua storia, Elisabetta Collu, merchandiser del Carrefour di San Sperate, nel cagliaritano. È stata licenziata dopo quattro anni di lavoro pressoché continuativo presso lo stesso supermercato, e addetta sempre alle stesse mansioni: ovvero, sistemare i prodotti di marca sugli scaffali. Solo che, piccolo particolare, non è mai stata dipendente della multinazionale francese, ma il suo rapporto era intermediato da svariate agenzie, cooperative e ditte locali, per mezzo delle più variegate tipologie contrattuali. Che, manco a dirlo, non erano mai regolarmente da dipendente.
«Sono stata assunta in prestazione occasionale, a contratto a progetto e con un lavoro a chiamata – elenca Elisabetta – e facendo dalle 20 alle 30 ore a settimana, guadagnavo variabilmente, sommando tutti i contratti, dai 300 ai 700 euro al mese». Non c’è davvero da scialare, soprattutto per una lavoratrice che mette su famiglia e si appresta a diventare mamma. Ma appunto questo, la maternità , è stato il grosso «problema» di Elisabetta.
La ragazza – oggi ha 30 anni – aveva iniziato come stagista, per 6 mesi, con la Carrefour. Poi però la multinazionale è «scomparsa», perlomeno dal punto di vista contrattuale, ed Elisabetta è finita in un gorgo di personaggi locali che aprivano e chiudevano ditte da un anno all’altro, rinnovandole continuamente contrattini precari, e affidandole la sistemazione di marchi di prestigio come Mellin, Barilla, Nestlè. Tra l’altro, spesso le veniva chiesto di svolgere mansioni fuori dal suo range, al posto dei dipendenti diretti del gruppo francese.
Dunque, nonostante la sede di lavoro per quattro anni sia stata la stessa Carrefour, e la lavoratrice si sia occupata di sistemare al meglio prodotti che tutti conosciamo e utilizziamo, i contratti erano invece stipulati da piccole aziende locali che al momento opportuno l’hanno lasciata sola e senza tutele.
«A fine luglio ho saputo di essere incinta e ho voluto dirlo, per trasparenza, a tutti, dal direttore ai capireparto. Anche perché mi sembrava fosse soltanto una bella notizia», continua Elisabetta. All’inizio sono arrivati i complimenti da parte di tutti, ma poi, in ottobre, quando la gravidanza era ormai quasi al quarto mese, sono iniziati i problemi. «Mentre lavoravo, il direttore si è avvicinato e mi ha detto che non potevo più continuare, perché le mie mansioni erano a rischio. E che mi dovevo considerare fuori».
Cestinata. Elisabetta si rivolge alle agenzie per cui lavora, che all’inizio la appoggiano e la invitano a tornare presso Carrefour. Ma al supermercato non la lasciano entrare: le chiedono un certificato. Il ginecologo attesta che non è a rischio, ma non basta: la guardia giurata all’ingresso le dice che non è valido. Alla fine anche le ditte intermediatrici la abbandonano e la sostituiscono con altri merchandiser, nonostante il contratto a chiamata le scada a fine dicembre, e il cocoprò nel giugno del 2013. Ma non lavorando, non ha diritto a nessuna retribuzione, nè ha maturato i contributi per avere un assegno di maternità .
«Al momento Elisabetta non viene retribuita – spiega Massimiliana Tocco, del Nidil Cgil – Noi intendiamo fare causa perché Carrefour la riconosca come propria dipendente diretta. In Italia sono oltre 100 mila i merchandiser, e si trovano tutti nella stessa condizione estremamente precaria di Elisabetta».
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