L’Italia voterà  sì alla risoluzione ONU sulla Palestina

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Il governo italiano ha annunciato che voterà  a favore della risoluzione che attribuisce alla Palestina lo status di “stato osservatore non membro” nel corso della votazione di oggi presso l’Assemblea generale delle Nazioni Unite a New York. La posizione iniziale del governo era di astenersi, come ha deciso di fare il Regno Unito, in seguito all’impossibilità  di trovare un accordo condiviso tra tutti gli stati membri dell’Unione Europea. La scelta è stata motivata con un comunicato sul sito del governo.

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Oggi l’Assemblea generale delle Nazioni Unite si riunirà  a New York per votare, tra le altre cose, la promozione della Palestina da “entità  non statuale” a “stato osservatore non membro”, come è oggi la Città  del Vaticano. Il voto arriva a poco più di un anno dal veto degli Stati Uniti al Consiglio di Sicurezza, di cui fanno parte come membro permanente, per il riconoscimento dello stato palestinese. L’Assemblea dovrebbe votare a favore, anche se sono previsti diversi voti contrari oltre a quello statunitense. La votazione si svolge a pochi giorni di distanza dalla fine dei nuovi scontri nella Striscia di Gaza tra militanti di Hamas ed esercito israeliano.

Stato indipendente
I palestinesi cercano da molto tempo di stabilire uno stato indipendente che comprenda almeno i territori della Cisgiordania e la Striscia di Gaza, occupati da Israele (Gaza non più dal 2007), e la parte est di Gerusalemme. Nel 1993 gli accordi di Oslo tra Israele e l’Organizzazione per la liberazione della Palestina (OLP) portarono a un primo riconoscimento condiviso tra i due paesi, ma da quasi vent’anni non si riesce a trovare un accordo definitivo per la spartizione territoriale (ci sono altre questioni in ballo, dai profughi alle risorse idriche, spiegate bene qui). L’ultimo tentativo fu realizzato nel 2010 ma non portò ad alcun risultato. Parallelamente alle trattative con Israele, le autorità  palestinesi hanno avviato numerosi contatti diplomatici con molti paesi, chiedendo alle singole nazioni di riconoscere uno stato di Palestina indipendente compreso nei confini che furono definiti con il cessate il fuoco del 1967, in cui si determinava sostanzialmente la separazione tra Israele e la Cisgiordania.

Riconoscimento
Lo scorso anno il presidente palestinese Mahmud Abbas (Abu Mazen) tentò di far riconoscere dalle Nazioni Unite la Palestina come uno stato vero e proprio. La richiesta non fu accettata dal Consiglio di Sicurezza, che non fu in grado di trovare una posizione unanime sulla questione. Abbas ha quindi scelto una soluzione alternativa, in un certo senso depotenziata, chiedendo questa volta all’Assemblea generale delle Nazioni Unite di votare il passaggio di status della Palestina da entità  statuale e stato osservatore non membro. Il cambiamento consentirebbe ai rappresentanti palestinesi di partecipare alle sessioni dell’Assemblea, aumentando anche le probabilità  che la Palestina possa entrare a far parte di altre organizzazioni gestite dalle Nazioni Unite. Anche se il processo non è semplice, potrebbe diventare parte della Corte Penale Internazionale, e contestare quindi con una azione legale l’occupazione israeliana della Cisgiordania.

Corte Penale Internazionale
Ad aprile di quest’anno la Corte Penale Internazionale aveva respinto il riconoscimento unilaterale da parte della Palestina sulla giurisdizione della stessa Corte. L’istituzione aveva spiegato che il riconoscimento non poteva essere accettato, perché i trattati prevedono che solo gli stati lo possano fare. Diversi osservatori pensano che, una volta riconosciuto il cambiamento di status, la Palestina cercherà  di attuare un nuovo tentativo con la Corte. Il governo di Israele teme di poter essere accusato dalle autorità  palestinesi per la violazione della Convenzione di Ginevra, che tra le altre cose stabilisce con l’articolo 49 che «la potenza occupante non può procedere alla deportazione o al trasferimento di una parte della sua propria popolazione civile nel territorio da essa occupato». Le autorità  palestinesi potrebbero anche chiedere alla Corte di indagare su possibili crimini di guerra compiuti tra il 2008 e il 2009 durante la guerra di Gaza.

Voto
Il voto favorevole al passaggio di status per la Palestina è dato per certo da buona parte degli osservatori. La risoluzione diventerà  effettiva se sarà  votata dalla maggioranza dei 193 membri dell’Assemblea e, a differenza del Consiglio di Sicurezza, nessuno ha il diritto di veto. A oggi sono circa 130 gli stati che riconoscono alla Palestina il rango di stato a tutti gli effetti (l’Italia riconosce uno status speciale alle rappresentanze palestinesi). L’OLP confida di ottenere oggi il voto favorevole di 150 – 170 paesi, cosa che le consentirebbe di mostrare quanto gli Stati Uniti e Israele siano sempre più isolati sulla delicata vicenda del suo riconoscimento.

Europa
Dopo numerose consultazioni, l’Unione Europea non è riuscita a trovare una posizione comune sul cambiamento di status per la Palestina. Spagna, Danimarca e Francia hanno spinto per il voto favorevole, cosa che ha ulteriormente indotto la Germania a confermare il proprio voto contrario. Il Regno Unito ha deciso di astenersi, ipotizzando di poter cambiare idea solamente se Abbas dichiarerà  di non voler riprendere i negoziati senza condizioni, e soprattutto se rinuncerà  ad aderire alla Corte Penale Internazionale. L’Italia, che aveva cercato di far trovare una posizione europea comune, seguirà  probabilmente la stessa linea orientata verso l’astensione.

Che cosa succede dopo
Il passaggio di status avrà , almeno inizialmente, un effetto soprattutto simbolico. Da un lato perché molti paesi riconoscono già  pienamente il diritto dei palestinesi a formare un loro stato, dall’altro perché il governo israeliano non accetta i confini territoriali posti dall’OLP come base per i negoziati. Il primo ministro Benjamin Netanyahu in più occasioni li ha descritti come poco realistici e indifendibili, specialmente se collocati nella prospettiva storica degli ultimi decenni, anni in cui circa mezzo milione di ebrei si sono stabiliti nei territori della Cisgiordania. L’OLP ricorda che secondo le leggi internazionali i territori occupati sono illegittimi, mentre Israele contesta da tempo questa posizione. Per risolvere il problema si era anche ipotizzato uno scambio alla pari di territori, ma la proposta si è poi arenata. A tutto questo si aggiungono le tensioni degli ultimi giorni al confine con la Striscia di Gaza, con il lancio di razzi verso Israele e i bombardamenti dell’esercito israeliano in risposta. Il 21 novembre è stata raggiunta una tregua, che non è chiaro per quanto tempo potrà  reggere.

foto: ABBAS MOMANI/AFP/Getty Images


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