by Sergio Segio | 17 Novembre 2012 8:48
ROMA — Il Colle apre all’election day, ma con un percorso in due tempi. Sì subito alle regionali nello stesso giorno, e che viene anche individuato nel calendario: il 10 marzo, è questa «la data più appropriata», alla luce anche del pronunciamento atteso dal Consiglio di Stato sul ricorso-Polverini. Giusto chiamare Lazio, Lombardia e Molise insieme alle urne, per evitare «un affannoso succedersi di prove elettorali» in un periodo di crisi e difficoltà economiche. Però per accorpare in quella giornata anche le elezioni politiche servono, ribadisce il Quirinale, delle condizioni che allo stato ancora mancano. E cioè, bisogna prima passare da «un adempimento prioritario e ineludibile» come l’approvazione della legge di stabilità e quella di bilancio entro la fine di dicembre, e poi portare a casa un provvedimento «altamente auspicabile» come la riforma elettorale. Solo a quel punto il capo dello Stato potrebbe prendere in considerazione «un’anticipazione sia pur lieve della convocazione delle elezioni politiche ». Si attende allora «il verificarsi delle condizioni opportune per la decisione che la Costituzione riserva al capo dello Stato», recita la nota ufficiale.
Dunque, dopo due ore e un quarto di supervertice al Colle presenti Monti, Schifani e Fini, arriva una soluzione di compromesso nel braccio di ferro sull’election day che minacciava la stessa sorte del governo. Bomba disinnescata, a quanto pare. Alfano è soddisfatto, «ok al Quirinale, hanno prevalso le nostre ragioni, risparmiati 100 milioni». Anche da Bersani, che puntava di più sul voto a febbraio per Lazio, Lombardia e Molise, disco verde: «La decisione è stata presa nella sede giusta, pronti alle condizioni poste da Napolitano, legge elettorale compresa».
Nel caminetto al Colle però né il premier né i presidenti delle Camere avrebbero portato notizie certe e confortanti sul cammino della riforma, che resta avvolta nelle nebbie, con il capo dello Stato sempre più deciso a mandare un suo messaggio al Parlamento nelle prossime settimane, in caso di fumata nera dell’iter al Senato. Dunque, al momento, l’election day del 10 marzo (nazionali e regionali insieme) resta un’ipotesi. E tanto meno allora è “automatico” uno scenario in cui il presidente Napolitano si dimetta qualche settimana prima della scadenza del suo mandato, anche perché potrebbe decidere di restare in carica fino alla scadenza di metà maggio in presenza di un quadro post-elettorale complicato.
Il punto chiave da cui partire, sottolinea il comunicato stilato al termine dell’incontro al Quirinale, è lavorare per una «costruttiva conclusione della legislatura », davanti ai problemi e all’acuirsi di «fenomeni di disagio sociale», che sconsigliano perciò di affrontare una prova elettorale dopo un’altra. Le elezioni regionali non sono materia del presidente della Repubblica, si ricorda, ma «è indubbia, per valutazioni d’interesse generale, l’esigenza di un contestuale svolgimento». Questione «distinta» invece, ed esclusiva prerogativa del capo dello Stato, è la scelta dello scioglimento anticipato delle Camere. Napolitano ricorda di aver più volte (ancora il 3 novembre scorso) rilevato che non ne sussistono «condizioni oggettive e motivazioni plausibili », c’è un governo in carica e vanno fatte legge di stabilità e riforma elettorale. Con un nuovo appello, lanciato da Napolitano proprio dopo il vertice. «L’esigenza di regole più soddisfacenti per lo svolgimento della competizione politica e a garanzia
della stabilità di governo, e le aspettative dei cittadini per un loro effettivo coinvolgimento nella scelta degli eletti in Parlamento, rendono altamente auspicabile la conclusione — invano a più riprese sollecitata dal presidente della Repubblica — del confronto in atto da molti mesi per una riforma della legge elettorale».
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