by Sergio Segio | 9 Novembre 2012 8:11
NEW YORK — Gli ayatollah sparano su Obama e il Pentagono avverte l’Iran: pronti a reagire. Non poteva cominciare in maniera più drammatica il primo giorno della nuova era Obama. Anche perché la mossa di Teheran è più che una provocazione. L’agguato è avvenuto il 1 novembre in acque internazionali a 16 miglia di distanza dalla costa iraniana: ma solo a urne chiuse la Difesa Usa ha diffuso la notizia. I droni, come si sa, sono gli aerei telecomandati e l’MQ1 Predator nel mirino dell’Iran stava conducendo — dice il portavoce di Hillary Clinton — «sorveglianza di routine». E’ un atto di guerra? «Non è una questione di definizione legale» risponde diplomaticamente George Little. Ma poi il portavoce è più che chiaro: «Abbiamo un ampio raggio di azioni per rispondere: da quella diplomatica a quella militare». L’aereo-spia è stato mancato. Ma se non è una dichiarazione di guerra poco ci manca. A caccia del drone non è andato un aereo del regolare Esercito iraniano. A muovere all’attacco è stato un jet delle Guardie Rivoluzionarie, cioè l’armata privata e feroce che risponde direttamente agli ayatollah: particolare che rilancia appunto la teoria della provocazione nei già tesi rapporti tra Iran e Occidente. Il premier Benjamin Netanyahu è venuto alle Nazioni Unite per denunciare drammaticamente con un cartoon il disegno di Teheran: costruire l’atomica per sterminare Israele. Bibi ha chiesto agli americani di tracciare una «linea rossa» che impedisca agli iraniani l’acquisizione dell’atomica: ma la linea passata adesso da Teheran sembra disegnata anche per testare la pazienza di Israele. Barack Obama ha sempre
sostenuto che «tutte le ipotesi sono sul tavolo»: ma anche durante i dibattiti elettorali ha insistito che prima vanno provate tutte le opzioni diplomatiche. Le durissime sanzioni stanno stremando Teheran, il crollo dell’economia erode il regime e la provocazione del drone si accompagna ora a una mega esercitazione di 8mila truppe annunciata dal capo dell’aviazione generale Frazad Esmaili.
Già nel dicembre scorso gli iraniani annunciarono di aver abbattuto un drone Usa: però nel loro territorio.
Gli americani hanno ammesso con imbarazzo la “perdita” ma non hanno mai chiarito se s’è trattato di un attacco o di un guasto. E a gennaio sempre Teheran ha minacciato Obama: non vogliamo navi nel Golfo Persico. Avvertimento ignorato ovviamente da Washington con una spettacolare esercitazione e dimostrazione di forza. Il blitz del SU-25 iraniano però non è stata un’esercitazione: stavolta Teheran voleva colpire davvero. Davvero il Pentagono può limitarsi soltanto a protestare.
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