L’inizio della fine per il Mekong
Il viceministro dell’energia laotiano Viraphong Virawong parlando ieri alla Bbc si è detto fiducioso che «non avrà impatti negativi sul Mekong», pur aggiungendo: «Ogni sviluppo comporta dei cambiamenti. Bisogna mettere sulla bilancia i costi e i benefici».
Il fatto è che la diga di Xayaburi, progetto da 3,5 miliardi di dollari, solleva problemi ambientali, sociali, economici – e anche politici, considerata la forte opposizione di Cambogia e Vietnam, che condividono l’acqua del Mekong a valle del Laos. Il progetto è in ballo dal 2007, quando una delle maggiori aziende thailandesi di ingegneristica, Ch. Karnchang Public Company, ha firmato un memorandum d’intesa con il governo di Vientiane per una diga e un impianto idroelettrico da 1.260 megawatt presso le rapide di Kaeng Luang, a circa 350 chilometri dalla capitale. Gran parte dell’energia prodotta (il 95%) sarà acquistata da Egat, la compagnia elettrica della Thailandia: dalla fine degli anni ’90 infatti il Laos ha puntato a fare dell’energia idroelettrica la sua «materia prima» da export, in mancanza di altre risorse, e diventare il fornitore per tutta la regione. Per questo ha costruito grandi dighe su diversi affluenti (l’ultima è la Nam Theun 2). Ora almeno 8 dighe sono in progetto sul Mekong stesso.
La diga di Xayaburi costringerà a risistemare circa 2.100 persone e avrà un impatto diretto sulla vita di altri 200 mila abitanti della zona. Ma soprattutto si ripercuoterà su decine di milioni di abitanti a valle. Un rapporto commissionato l’anno scorso dalla Mekong River Commission, l’istituzione sovrannazionale che riunisce i governi dei quattro paesi rivieraschi (del basso corso: ne resta fuori la Cina), suggeriva di sospendere il progetto, paventando «danni gravi e irreversibili» sull’ambiente e l’economia dell’intero bacino. Il grande fiume indocinese infatti vive del suo ciclo stagionale di piene: quando straripa lascia sul terreno allagato un fertile limo; è popolato da pesci per lo più migratori, che nascono tra gli scogli e le rapide che costellano il fiume a monte per poi andare a ingrassare a valle prima di risalire a deporre le uova. Il bacino del Mekong è il più grande terreno di pesca d’acqua dolce al mondo; la pesca è la base dell’economia locale ed è anche la principale fonte (il 60%) di proteine animali per gli abitanti della regione (fino all’80% per la popolazione rurale: e nel bacino del basso Mekong l’80% della popolazione è rurale e dipende da un’economia di sussistenza). La diga pregiudica la quantità d’acqua che arriva a valle, interrompe la migrazione dei pesci, stravolge i sedimenti e il ciclo dei nutrienti. E’ già successo con le quattro dighe costruite sull’alto corso del Mekong, nello Yunnan, Cina. Quella di Xayaburi sarebbe la prima nel basso corso.
Nonostante la Commissione del Mekong abbia chiesto di sospendere il progetto, in mancanza di un accordo, lo scorso aprile la Ch Karmchang e il governo laotiano hanno siglato il contratto definitivo. Pare che i lavori siano cominciati subito: solo «preliminari», disse il governo, ma lo scorso giugno attivisti della rete ambientalista International Rivers avevano segretamente fotografato il sito dove erano ben visibili macchine da costruzione, muraglie di cemento armato e un cantiere in piena attività . Ora il viceministro Virawong dice alla Bbc che il progetto è stato modificato rispetto all’originale per rispondere alle obiezioni su sedimenti e migrazione dei pesci. Non ci sono per ora commenti da parte di Vietnam e Cambogia. Certo è che se quella diga vedrà la luce, altre seguiranno: e per il Mekong sarà la fine.
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