L’incubo «choosy» della Fornero

by Sergio Segio | 21 Novembre 2012 11:21

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Davanti all’entrata del Cnel, una palazzina elegante fine Ottocento nel parco di Villa Borghese, un drappello di una trentina di studenti medi e universitari hanno esposto uno striscione agguerrito: «Fornero saremo il tuo incubo. Ovunque. Ci riprendiamo tutto».
Dopo le proteste contro la repressione del corteo di mercoledì 14 novembre da parte delle forze di polizia, l’indignazione espressa nei confronti di chi ha votato in parlamento la riforma Gelmini, una contestazione sempre più incalzante è arrivata al cuore della questione sociale: la mancanza assoluta di tutele per le generazioni nate dopo il 1970.
Gli studenti hanno appreso i dati del rapporto Inps solo al termine del blitz mattutino, ma potevano immaginarne la gravità  già  quando hanno ultimato la frase che chiude il loro duro comunicato: «Siamo choosy (schizzinosi), infatti ci fate schifo». L’Inps, infatti, sostiene che negli ultimi due anni l’occupazione giovanile nel lavoro dipendente è diminuita del 45% per gli under 19 e dell’11,3% per gli under 30.
Ai ragazzi che frequentano gli istituti tecnici o professionali, quelli che la riforma Fornero vorrebbe impegnare con contratti di apprendistato a partire dai 15 anni, il rapporto Inps conferma una realtà  già  nota: questa tipologia di lavoro è in drastico calo da anni, meno 14,6% negli ultimi due. Questo significa che il combinato disposto della riforma Gelmini e da quella Fornero del lavoro (giovanile) rappresenta un fallimento, ancor prima di partire.
E il governo si ostina a parlare d’altro, ma non dell’essenziale. Perchè, a parte l’antipatia naturale di un ministro e il suo problematico rapporto con i media, il senso delle reiterate proteste contro Elsa Fornero trova oggi una conferma strutturale. Chi ha tra i 19 e i 34 anni rientra in quella vastissima categoria di sette milioni di contribuenti che, giunti a 67 anni, non riuscirà  a mettere da parte almeno 15 anni di contribuzione normale e strappare una pensione minima. Per tutta la vita, questi giovani saranno poveri e, alla fine della loro «carriera» lavorativa si ritroveranno – se va bene – con una pensione sociale.
È la «bomba» sociale che il presidente dell’Inps Mastrapasqua (anche lui ieri contestato) preferì tacere nell’ottobre 2010, temendo uno «tsunami» sociale. Lo «tsunami» esplose comunque nelle proteste anti-gelmini di quell’anno. Due anni dopo, con il drastico peggioramento della crisi, il paese si ritrova sempre sull’orlo della stessa catastrofe.
Se metà  dei pensionati percepiscono una pensione da mille euro con il metodo retributivo, gli studenti medi che stanno occupando le scuole e i loro fratelli e sorella maggiori che si muovono nelle facoltà  in tutto il paese rischiano di percepire dal 2040 in poi una pensione da cento euro con il metodo contributivo. Chiamarli «choosy», «sfigati», «neet», non basta per occultare una realtà  devastante. Il futuro è questo, un destino a cui nessuno vuole sottostare.
La frenesia delle occupazioni (ieri a Roma sono stati occupati il liceo Manara, il Virgilio il Cavour che si aggiungono ad altri 23), come dei blitz simbolici in tutta la città  lo dimostra. Gli studenti del liceo classico Socrate hanno calato dal Pincio, dal Colosseo e da piazza di Spagna lo striscione: «Scuole di tutta Italia unitevi. Contro la privatizzazione la scuola pubblica resiste». L’azione ha richiamato quella di due anni fa quando gli universitari occuparono nello stesso giorno i monumenti più rappresentativi del Belpaese. Stavolta, però, riguarda gli adolescenti che hanno assorbito lo stile della lotta, e un’idea dei media molto efficace.
In queste ore sono gli insegnanti, spesso impegnati in faticose trattative con gli studenti sulle modalità  delle occupazioni o delle co-gestioni, a sentire vibrare questa corda profonda. Antonio Panaccione, preside del liceo scientifico romano Talete ha scritto una lettera al «governo tecnico». Chiede ai «politici poco rappresentativi e che non saranno nemmeno rieletti» di fermare «questa corsa verso il baratro». Un monito, più che un appello. Il paese «adulto», quello «sobrio», resta a guardare. Indifferente.

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