L’incalcolabile astrazione vivente

Loading

Le leggende, come del resto ogni finzione narrativa, spesso rappresentano i punti di partenza più sicuri per affrontare l’analisi dei fenomeni culturali. Immaginando come reale questa possibilità  tutta immaginaria di una monografia deleuziana su Marx, sicuramente si potrebbe credere che uno dei suoi momenti più significativi sarebbe rappresentato dal confronto con il concetto di lavoro.
I materiali «grezzi» per questo tipo di elaborazione Deleuze li aveva già  preparati nel corso di una serie di lezioni tenute a Vincennes il 15 febbraio e il 18 aprile del 1972. I testi in italiano di queste lezioni sono stati ricavati dal paziente lavoro di emendazione e traduzione svolto da Gianvito Brindisi sull’originale parlato di Deleuze, e si possono leggere oggi nel volume collettaneo Lavoro, merce, desiderio pubblicato dall’editore Mimesis (pp. 218, euro 16).
Del lavoro, al filosofo interessa innanzitutto lo statuto culturale piuttosto che quello empirico eseguito nei luoghi e nei processi produttivi. Combinando in modo molto originale l’Introduzione a Per la critica dell’economia politica di Marx e alcune parti de Le parole e le cose di Michel Foucault, Deleuze ci riporta al momento in cui nasce l’economia politica, a quando Smith e Ricardo smisero di cercare l’essenza della ricchezza dal lato dello Stato e della terra, come fino a quel momento avevano rispettivamente fatto i mercantilisti e i fisiocrati, e iniziarono a riportarla al lato del soggetto che produce, agisce e lavora. Con la nascita dell’economia politica si passa dall’oggettività  dei macroinsiemi (Stato e terra), alla soggettività  dell’individuo produttore (lavoratore).
Questa sorta di rottura, una vera e propria rivoluzione nel pensiero economico, non si ferma qui. I padri dell’economia politica quando scoprono l’essenza della ricchezza nell’attività  produttiva, non privilegiano nessun tipo di lavoro in particolare (sia esso manifatturiero, commerciale o agricolo), piuttosto si riferiscono al produrre in generale. Il nome che assegnano a questa universalità  è: lavoro astratto. Sarebbe a dire, nessuna forma determinata di lavoro, ma la forma in genere del lavorare.
Questa rivoluzione, però, segna una fondamentale battuta d’arresto nel punto in cui Smith e Ricardo alienano la loro scoperta del lavoro astratto nella proprietà  privata. Cosa vuol dire: se da un lato i padri dell’economia politica hanno sottratto la produzione della ricchezza allo Stato e alla terra, l’hanno cioè disalienata da uno stato oggettivo mistificato per restituirla al lavoro astratto, dall’altro lato, però, producono una nuova forma di mistificazione e di alienazione quando, facendo della proprietà  privata l’unico metro con cui misurarlo, chiudono il lavoro astratto in una rappresentazione soggettiva, in un teatro familiare che ne svuota l’universalità .
I risultati ottenuti da Deleuze nel corso di queste lezioni mi sembrano importanti soprattutto per quanto riguarda l’approfondimento di quello che fino ad allora era stato il suo rapporto con Marx.
La rilettura del filosofo di Trevi effettuata all’inizio degli anni Settanta del Novecento a partire dal punto di vista del lavoro astratto produce in Deleuze una conseguenza significativa: la revoca della fiducia nei confronti dell’economico a cui, sulla scia di Louis Althusser e dei suoi allievi, veniva assegnata la centralità  in Differenza e ripetizione.
Sebbene anche in quest’opera l’autore parta dal lavoro astratto, la conseguenza a cui perviene è quella di intendere i lavoratori come «atomi portatori di forza-lavoro o rappresentanti la proprietà ». Viene confermata l’idea althusseriana di un soggetto come epifenomeno di una struttura molto complessa e differenziata sì, ma i cui problemi sociali sono essenzialmente economici, anche lì dove ne vengono avanzate soluzioni di natura non economica (giuridica, politica o ideologica).
In questa serie di lezioni sul lavoro astratto Deleuze supera la visione atomistica del lavoratore come punto qualsiasi in cui si incarna una forma specifica di lavoro. Quel suo insistere sull’universalità  dell’attività  produttiva prima che Smith e Ricardo la recintino nella sfera privata della proprietà , rinvia sì ad un soggetto, ma ad un soggetto che per gioco forza deve essere collettivo.
A ben vedere, allora, quello che sembra essere un momento molto interno al dispositivo di pensiero deleuziano (il rapporto con Marx), ha in realtà  una ricaduta esterna immediata perché nel lavoro astratto di un soggetto collettivo produttivo, sembra delinearsi il genere universale di una nuova classe operaia non più qualificata dal solo lavoro di fabbrica, ma anche da quello comunicativo e simbolico degli operai dell’immateriale.


Related Articles

Le nuove regole della buona politica

Loading

   “Il male dei nostri tempi è l’indifferenza all’etica. L’arte di governare è solo il mezzo per favorire la fioritura degli individui”. Anticipiamo parte del testo di che compare integralmente sul nuovo numero di MicroMega, titolato “L’Italia s’è desta!”, da oggi in edicola

Alla radici del lavoro (planetario)

Loading

La «Global labour history», narrata nel libro edito da «ombre corte» per la cura di Christian De Vito, esplora la possibilità  di una storia sociale strutturale Trasformazioni capitalistiche, modi di produzione, conflitto fra centro e periferie, flussi migratori sono le reti tematiche da riconsiderare

Palestina, la versione di Ziyad Clot

Loading

L’uomo che ha passato i Palestinian Papers ai media in Italia con Ism per il suo libro. Il libro, di prossima pubblicazione, avrà  un titolo duro e doloroso, come questa lunga storia di ingiustizia, che dura dal 1948. SI chiamerà  Non ci sarà  uno Stato Palestinese – Diario di un negoziatore in Palestina. L’autore è un avvocato franco-palestinese, Ziyad Clot.

No comments

Write a comment
No Comments Yet! You can be first to comment this post!

Write a Comment