«Giurò sulla Bibbia di Lincoln Barack completi la sua missione»

by Sergio Segio | 6 Novembre 2012 7:24

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NEW YORK — «Io sono un obamiano convinto», spiega Steven Spielberg, «e proprio perché l’America è ancora lacerata dal razzismo, l’aver assistito di persona all’elezione del primo presidente nero della nostra storia è stato per me un momento simbolico straordinario che porterò dentro finché campo».
In una lunga intervista concessa al settimanale del Corriere della Sera, Sette (che la pubblicherà  la settimana prossima), in occasione del debutto del suo nuovo, attesissimo film Lincoln, il regista più famoso d’America conferma la sua fedeltà  al presidente Barack Obama, di cui è tra i massimi sostenitori, (con oltre un milione di dollari versati solo nel 2012 al Super Pac obamiano Priorities Usa).
«A casa mia ho appeso la foto che mi ritrae all’inaugurazione di Obama insieme a mia moglie Kate, entrambi seduti sulla gradinata intorno al palco», incalza il 65enne regista di Schindler’s List che nel 2007 appoggiò Hillary Clinton alle primarie (il marito Bill è amico intimo degli Spielberg). Ma dopo la nomination si è schierato con Barack Obama, che l’ha ospitato alla Casa Bianca per ben tre volte, una delle quali per guardare insieme un film nella sala di proiezione presidenziale.
Quindi c’era anche lei quel giorno a Washington?
«Eravamo stati invitati dalla senatrice californiana Dianne Feinstein. Io mi ero portato dietro la macchina fotografica con lo zoom e la videocamera e quando il giudice capo della Corte Suprema John Roberts è arrivato sul podio sono trasalito».
Che cosa è successo?
«Roberts aveva tra le mani la stessa Bibbia ingiallita sopra la quale nel 1861 prestò giuramento Abramo Lincoln, il presidente che ha abolito la schiavitù in America. Nel vedere il primo presidente nero degli Stati Uniti sfiorare la stessa Bibbia, e poi giurarci sopra, un brivido mi è corso lungo la schiena. Sono orgoglioso d’aver diretto un video per Obama proiettato alla Convention democratica nell’agosto del 2008».
I siti web dei cosiddetti «birthers» (seguaci delle varie teorie secondo cui Obama non sarebbe un «nativo americano») continuano ad affermare che quell’inaugurazione era illegale, proprio perché Obama non è nato in America.
«Gli animatori di quei folli blog sono persone disperate e il loro miserabile gesto tradisce un profondo squallore esistenziale e umano. Obama non c’entra nulla con quelle tesi farneticanti che sono state sbugiardate mille volte, il problema è soltanto loro».
Negli ultimi rilevamenti Obama e Romney restano testa a testa e secondo alcuni sondaggisti la vittoria del primo non è affatto scontata.
«Non mi preoccupo affatto, anche se credo che questa volta sia ancora più cruciale che tutti i democratici americani votino. L’affluenza determinerà  il risultato di queste elezioni e ciò che mi preoccupa adesso è contribuire a far si che tutti gli aventi diritto si rechino ai seggi. Dobbiamo elettrizzare la base, soprattutto i giovani, le donne e le minoranze, per far sì che i numeri siano robusti come nel 2008. Sarà  una gara serrata ma sono ottimista e anzi certo che Obama otterrà  un secondo mandato».
Che cosa deve aspettarsi il mondo dall’America nei prossimi quattro anni?
«Se Obama sarà  rieletto, la battaglia iniziata da Lincoln 150 anni fa sarà  completata. Ma la strada da percorrere è ancora lunga e tortuosa anche perché il Paese resta più che mai spaccato a metà , con due anime che non si parlano e non si capiscono. Lincoln voleva condurre la nazione fuori dalla guerra civile, verso un sentiero di pace, riconciliazione, progresso e ricostruzione dopo un conflitto lungo, divisivo ed estenuante. La storia si ripete. Spero solo che sia Obama a scriverla».
Alessandra Farkas

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