L’Europa non sopravvive se dimentica il suo orgoglio

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Negli anni Ottanta Fernand Braudel, storico del Mediterraneo all’epoca di Filippo II, disse che occorreva scrivere una storia d’Europa nello spirito della scuola di cui era il maggiore esponente (l’à‰cole des Annales) e invitò più volte a Parigi un piccolo gruppo di amici studiosi. So che Giuseppe Galasso non condivide la passione per la «lunga durata», diffida della «cultura materiale» e crede, a differenza di molti esponenti dell’à‰cole, che i grandi eventi politici e militari abbiano spesso, nel corso della storia, un’influenza determinante. Ma se avesse partecipato a quelle riunioni, avrebbe scoperto che i temi trattati erano in buona parte quelli a cui ha dedicato la sua vita di studioso; e il risultato dei suoi studi sarebbe stato ascoltato con molto interesse.

Ne ho avuto la conferma leggendo i saggi raccolti in un libro di Galasso intitolato Nell’Europa dei secoli d’oro. Aspetti, momenti e problemi dalle «guerre d’Italia» alla «Grande guerra» (pp. 432, 30), apparso ora presso l’editore Guida di Napoli. Il lettore non vi troverà  la storia d’Europa dal Cinquecento ai nostri giorni, ma scoprirà  molte delle ragioni che rendono questa penisola dell’Asia, come fu definita da Paul Valéry, alquanto diversa dagli altri continenti. Capirà  perché i viaggi di Colombo siano stati un’altra cosa rispetto a quelli, molto di moda in questi ultimi decenni, dei vichinghi o dei cinesi. Capirà  perché la pluralità  delle autonomie abbia dato alla storia d’Europa caratteri non riscontrabili in altre società  mondiali. Capirà  che la diplomazia è nata in Europa ed è diventata il tessuto connettivo di un continente in cui gli Stati potevano farsi la guerra, ma anche sentirsi membra di uno stesso corpo, cugini (così si definivano i re nella loro corrispondenza) di una stessa famiglia. Scoprirà  che dietro le molte lotte per l’egemonia continentale vi era implicitamente l’ambizioso desiderio di occupare un trono ideale appartenente alla loro comune memoria. Comprenderà  quale sia stato il ruolo delle corti e dei salotti nel fissare le regole europee della convivenza civile, della gerarchia sociale, delle buone maniere, del gusto e dei costumi. Scoprirà  che le guerre europee furono sempre, per molti aspetti, fratricide e non impedirono ai fratelli nemici di vivere collegialmente tutti i grandi movimenti culturali nati in Europa: il gotico, il barocco, l’umanesimo, il rinascimento, l’illuminismo, il romanticismo, il positivismo, il liberalismo, il socialismo, il fascismo, il comunismo, «tutti proiettati sullo sfondo europeo, anche se hanno avuto le loro radici o le loro massime e più caratteristiche espressioni in singoli Paesi europei».
La pluralità  delle lingue (in maggior parte indoeuropee) non ha mai impedito la comunicazione tra i Paesi del continente e la loro capacità  di trarre vantaggio dalle reciproche esperienze. Siamo europei perché siamo in grado di copiarci e imitarci. Vi sono stati momenti e discipline in cui una lingua è stata egemone e quindi particolarmente studiata: l’italiano per gli studi umanistici, le arti plastiche e la musica; il francese per la diplomazia e la comunicazione tra i dotti all’epoca dell’illuminismo; il tedesco per la scienza e la filosofia; l’inglese per il commercio e la finanza, più tardi la politica e la scienza. Tutte le maggiori lingue europee hanno prodotto grandi letterature, ma le loro opere hanno smesso di essere esclusivamente nazionali nel momento stesso in cui cominciavano a circolare, tradotte, negli altri Paesi del continente.
Non è mai esistito, dopo il crollo dell’Impero romano d’Occidente, uno Stato europeo esteso all’intero continente, ma vi sono state una République des lettres e una Société des esprits di cui ogni europeo poteva essere cittadino. Non è possibile scrivere la storia di una nazione senza intrecciarla con quella delle altre. Vale per le storie di Francia, Italia o Germania ciò che Machiavelli scrisse del proprio metodo di lavoro all’inizio delle sue Istorie fiorentine: se non avesse parlato delle cose notabili della penisola, la sua storia fiorentina «sarebbe stata meno intesa e meno grata», perché «dall’azione degli altri popoli e prìncipi italiani nascono il più delle volte le guerre, nelle quali i fiorentini sono d’intromettersi necessitati».
Il fattore che meglio spiega questa unità  nella diversità  e questa concordia nella discordia è l’importanza che la storiografia ha sempre avuto nella storia d’Europa. In un saggio su «Storicismo e identità  europea» Galasso osserva che l’idea della storia e del metodo storico sono una invenzione europea, ereditata dalla tradizione greca e romana. La storia, per gli europei, è quindi la consapevolezza della propria esistenza, dei propri mutamenti nel tempo, del legame che unisce le generazioni, del modo in cui gli eventi formano una necessaria catena e possono essere compresi soltanto se studiati e compresi in una prospettiva cronologica. Esistiamo perché, a differenza di altri popoli, non abbiamo mai smesso di raccontare il nostro passato. La mentalità  dell’europeo, quale che sia il Paese a cui appartiene, è una mentalità  storica. La storia è il suo navigatore, lo sguardo dall’alto che gli ricorda continuamente la sua collocazione nel tempo. I libri di storia sono una sorta di autoritratto continuamente aggiornato alla luce delle nostre convinzioni ed esigenze.
È possibile che l’Europa stia scrivendo in questo momento i suoi ultimi capitoli? Galasso vede segnali inquietanti. L’idea che tutte le culture si equivalgano, una propensione all’auto-fustigazione e all’odio di sé, la continua criminalizzazione del suo passato sembrano annunciare la fine dell’orgoglio europeo. Ma vi è, nelle ultime pagine del libro, una nota di speranza. L’Europa attraversa oggi una crisi che è al tempo stesso economica e identitaria. Ma un filosofo e teologo tedesco citato da Galasso (Ernst Troeltsch) ha scritto: «Le grandi crisi storiche guariscono spesso, come la lancia di Odino, le ferite che hanno inferto». Tradotto in linguaggio contemporaneo, questo significa che dalla crisi dell’euro l’Europa potrebbe uscire più forte.


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