Legge elettorale, maggioranza senza intesa
ROMA — Cita un passaggio tratto dai taccuini di Benedetto Croce, Giorgio Napolitano, per dire ai partiti che il bene dell’Italia deve essere il limite alla loro discordia. Una notazione che, probabilmente, prende spunto da quanto avviene in queste ore in Senato, dove le forze politiche non riescono a trovare un punto di intesa per riformare la legge elettorale che, comunque, il 28 approderà in Aula, come annuncia il presidente Renato Schifani.
L’esortazione del capo dello Stato origina dalle parole che il filosofo napoletano ebbe a rivolgere subito dopo la guerra nella fase della ricostruzione. «Forse il pensiero della patria — dice Napolitano evocando Croce — renderà più agevole la necessaria concordia nella discordia tra i partiti politici che in avvenire si combatteranno a viso scoperto, lealmente, perché tutti essi terranno sacra la libertà , loro comune fondamento, così avranno dinanzi agli occhi l’Italia e nel bene dell’Italia troveranno di volta in volta il limite oltre il quale non deve spingersi la loro discordia».
Il richiamo di Napolitano sembra fatto apposta per essere applicato allo scontro in corso a Palazzo Madama. Ieri, nella riunione della commissione Affari costituzionali si è registrata l’ennesima situazione di stallo sulla riforma elettorale, del muro contro muro tra Pd e Pdl, mentre l’Udc ha scelto la linea dell’astensione che manterrà se non ci sarà un accordo ampio. Fermo, il primo, nella difesa del cosiddetto lodo D’Alimonte (soglia al 40% e premietto del 10% al primo partito) come ha ribadito la capogruppo Anna Finocchiaro. E altrettanto fermo il Pdl a non venire incontro a tali richieste, attestandosi invece, come ha ricordato Gaetano Quagliariello sulla bozza Malan che fissa la soglia al 42,5%, senza bonus al primo partito. Finocchiaro ha messo in guardia dal non compiere «colpi di mano», ma Quagliariello ha avvertito, a sua volta, che «il nostro obiettivo è andare avanti in commissione poi in Aula perché l’accordo si può trovare in qualsiasi momento, solo così si potrà scoprire chi vuole la legge e chi no». Neppure la proposta a suo tempo avanzata dal leghista Roberto Calderoli, giudicata positivamente dal Pdl, è stata però presa in considerazione dal Pd. Calderoli aveva immaginato una soglia al 40% per le coalizioni, o in alternativa un premietto del 20% variabile al primo partito, ripartito in modo proporzionale ai seggi ottenuti. «La proposta dell’ascensore», l’ha definita il presidente della commissione, Carlo Vizzini. Lo stesso Vizzini ha riferito che la commissione tornerà riunirsi oggi: «Calderoli formalizzerà un’ulteriore soluzione». Ma l’esponente leghista non è ottimista: «Questa legge è appesa alla fune dell’ascensore perché c’è il rischio che non si faccia nulla. C’è, infatti, un partito che in un ramo del Parlamento ha un potere interdittivo. Ciò che ho predisposto ha come obiettivo la formazione di un governo politico, non di qualcos’altro. Se non arriva una risposta è perché non si vuole proprio cambiare l’attuale legge». Meno scettico Quagliariello: «Prima delle primarie del Pd, ed è comprensibile, non so se si raggiungerà un accordo». E allora? L’ipotesi più probabile è che entro questa settimana la commissione adotti un testo senza il premio e nomini un relatore. Poi la discussione si sposterà nell’Aula. Solo in quel frangente si avvierà (forse) il negoziato risolutivo.
Related Articles
E Giulio adesso minaccia le dimissioni “Non accetto di fare la fine della Grecia”
Berlusconi: stavolta finisce male. Spunta il nome di Bini Smaghi. Il Superministro ha molti nemici in Parlamento per il progetto di tagliare i costi della politica. Chi ha sondato il ministro lo ha trovato impermeabile a ogni richiesta. Dice il Cavaliere in privato: “Sono stanco di sentirmi dire: o così o niente”
FINANZIAMENTO PUBBLICO. Perché monta la protesta contro i costi della politica
Tutto cominciò con lo “scandalo petroli”. Era il 1974 e sui quotidiani del 14 febbraio la notizia del giorno era che il pretore Mario Almerighi aveva chiesto l’autorizzazione a procedere contro i segretari amministrativi dei quattro partiti di governo – Dc, Psi, Psdi e Pri – sostenendo di avere prove sufficienti a dimostrare che l’Enel e le compagnie petrolifere avevano versato al quadripartito “ingenti somme di denaro”.
Renzi convince i Giovani turchi Al via la «Rifondazione democratica»