“Legge elettorale, è colpo di Stato” Grillo attacca. Bersani: va cambiata

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ROMA — Mai stati così d’accordo Beppe Grillo e Pier Luigi Bersani. La sintonia è dovuta a quel 42,5%, la soglia — prevista dall’ultima bozza di riforma elettorale che sta navigando al Senato — per avere il famoso “premio di maggioranza”. «Un colpo di Stato», un modo «per impedire a tavolino la possibile vittoria del M5S e replicare il Monti bis»: scrive Grillo sul suo blog. Il webcomizio del guru 5Stelle è contro la Ue: “To Ue or not to Ue” è il titolo. Attacco alzo zero contro il «marcio» che c’è a Bruxelles, contro l’Europa («Club Med, dolce esilio dei trombati»), che vieta di riformare le regole del voto nell’ultimo anno prima delle elezioni. Dovrebbe
allora multare l’Italia? Lo fa per un sacco di cose, ma per questo no: «Chissà  forse ci farà  una multa per divieto di sosta a Montecitorio », ironizza.
Grillo fa una certa confusione tra Commissione Ue e Consiglio d’Europa (la cui indicazione non è vincolante). Tuttavia nel merito della riforma (che ha visto d’accordo Pdl, Lega e Udc), è anche il Pd a suonare l’allarme. «No – spiega Bersani a Radio Anch’io – non intendo prendermi la responsabilità  di portare il paese all’ingovernabilità . Lo dico per l’Italia, non per il Pd». I Democratici insomma non hanno dato e non daranno manforte. Bersani commenta il blog di Grillo: «Non uso magari il termine di Grillo, ma non piace neppure a me. Se quella è l’unica misura che si intende mettere, è una misura praticamente irraggiungibile».
Il braccio di ferro porta però allo stallo, a tenersi il Porcellum, andando a rieleggere un Parlamento di nominati, con i candidati scelti dai partiti in liste bloccate. E così, poco ma sicuro, il discredito della politica crescerebbe in modo esponenziale. Per questo, Renato Schifani interviene, ieri, assicurando: «Sto lavorando per i cittadini, per la legge elettorale è quello che ci chiedono in tanti, penso che ce la facciamo ». Il presidente del Senato ammette che la palude-Porcellum è un favore ai “grillini”: «Ce la stiamo mettendo tutta, se no altro che Grillo al 30%, va all’80%». Si sapeva, ma è la conferma, che il MoVimento 5 Stelle è il convitato di pietra della partita sulla riforma elettorale. Per Bersani sono necessarie modifiche e subito: «Al contrario di quello che sta dicendo Casini, non abbiamo mai preteso di avere il 55% con il 30% dei voti, ma serve quantomeno una legge che consenta di avere un azionista di riferimento in grado di formare il governo». Nessuna balcanizzazione, no allo spettro della Grecia: è la posizione del Pd. Il premio di governabilità  può scattare per il primo partito ed essere del 10 o 12%: dichiara Anna Finocchiaro, la capogruppo democratica al Senato. «Dal Pd un polverone per nulla — sostiene il segretario dell’Udc Lorenzo Cesa —. Il problema è capire se Bersani vuole cambiare l’attuale legge elettorale». Mentre Maurizio Migliavacca,
ufficiale di collegamento tra Democratici e Pdl, studia possibili intese. Ci cono previsioni di accordo? «Non vado oltre la convocazione della commissione di martedì, le mie capacità  previsionali si fermano lì», dice Stefano Ceccanti, costituzionalista, senatore del Pd. Del resto nel Pdl sotto schiaffo, difficile trovare un interlocutore certo: le divisioni tra le varie correnti sono ormai fratture. Il j’accuse di Grillo contro i “pidimenoellini”, riguarda i “termovalorizzatori”: si dice che li vuole l’Europa, non è vero. E Bersani sui candidati scelti da Grillo: «Manco Lenin».


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