by Sergio Segio | 30 Novembre 2012 7:28
ROMA — Un decreto, cinque articoli e un garante incaricato di vigilare sulla attuazione dell’Autorizzazione unica ambientale (Aia), che così assume forza di legge.
L’ultima bozza circolata ieri del provvedimento che dovrebbe consentire la ripresa dell’attività dell’Ilva, e che stamattina il Consiglio dei ministri dovrà approvare, conferma che a garantire che la procedura di risanamento venga attuata nei modi e nei tempi previsti dall’Aia sarà una figura terza. Si conclude così il confronto tra il ministro dell’Ambiente, Corrado Clini, persuaso che sarebbe bastata l’assunzione dell’Aia nel decreto per rendere cogente la procedura, e il ministro dello Sviluppo, Corrado Passera, convinto della necessità di una figura terza che vigilasse sull’attuazione degli interventi.
La linea di Passera sembra aver prevalso e così all’articolo 3 si legge che, su proposta del ministro dell’Ambiente, di concerto con il ministro dello Sviluppo economico e della Salute, sentito il Consiglio dei ministri, «un garante incaricato di vigilare sulla attuazione delle disposizioni» del decreto, verrà nominato entro venti giorni dalla sua entrata in vigore.
Il garante, avvalendosi dell’Ispra (l’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale), acquisirà «tutte le informazioni e gli atti ritenuti necessari dall’azienda, dalle amministrazioni e dagli enti interessati, segnalando al ministro dell’Ambiente eventuali criticità riscontrate nell’attuazione» dell’Aia e «proponendo le relative soluzioni». A propria volta il ministro dell’Ambiente riferirà semestralmente alle Camere «circa l’ottemperanza delle prescrizioni dell’Aia».
Il decreto nei primi due articoli conferma che l’Aia rilasciata il 26 ottobre 2012 all’Ilva, diventa parte integrante del decreto, dunque acquisisce forza di legge. L’Aia «esplica in ogni caso effetto in quanto assicura la più adeguata tutela ambientale e sanitaria secondo le migliori tecniche disponibili». Un’affermazione forte che al momento contrasta con i rilievi opposti dalla magistratura, secondo cui per prima cosa bisogna risanare l’impianto e poi riavviare la produzione. Ma nel decreto si insiste, stabilendo che, a decorrere dall’entrata in vigore del decreto, «l’Ilva è immessa nel possesso dei beni dell’impresa ed è in ogni caso autorizzata alla prosecuzione dell’attività produttiva e commerciale nello stabilimento per tutto il periodo di validità dell’Aia, salvo che sia riscontrata l’inosservanza delle prescrizioni impartite nell’autorizzazione stessa».
In caso di inosservanza accertata è prevista la revoca dell’Aia con provvedimento del ministro dell’Ambiente. Resta valido il principio per cui il ministero effettua il riesame dell’Aia quando è necessaria la revisione dei valori limite di emissione fissati nell’autorizzazione o l’inserimento in quest’ultima di nuovi valori limite, oppure quando ci sono migliori tecniche disponibili o necessarie o nuove leggi.
L’articolo 2 precisa che non è in corso alcuna espropriazione, in quanto resta in capo ai titolari dell’Aia «la gestione e la responsabilità della conduzione degli impianti dello stabilimento Ilva anche ai fini dell’osservanza di ogni obbligo, di legge o disposto in via amministrativa».
Ma la norma-chiave è quella contenuta nell’articolo 4, che recita: «I provvedimenti di sequestro, di confisca e altri provvedimenti cautelari di carattere reale dell’autorità giudiziaria di diritto consentono, in ogni caso, quanto previsto dall’articolo 1, comma 2, del presente decreto». Come a dire che i giudici non possono in ogni caso fermare gli impianti. Chiude l’articolo 5, escludendo esplicitamente costi o oneri a carico dello Stato. I tre miliardi necessari per attuare gli interventi dell’Aia dunque non saranno pubblici.
Fuori dal decreto resta un’altra iniziativa, la creazione di un osservatorio la definizione di un «progetto-salute per Taranto» che prevede il proseguimento dell’attività di sorveglianza epidemiologica soprattutto in età pediatrica.
Antonella Baccaro
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