Le condizioni del Colle per votare prima legge di stabilità e riforma elettorale
LEGGE di stabilità e riforma elettorale. Sono questi i due paletti che il capo dello Stato ha piantato nel terreno. Se i partiti fremono per anticipare le politiche a febbraio, Napolitano ha spiegato in maniera chiara che, al momento, non si può. Almeno finché la maggioranza non abbia fatto per intero i suoi “compiti a casa”. La pazienza di Napolitano si sta comunque esaurendo. L’ultimo, discreto, giro di consultazioni ha infatti confermato al capo dello Stato il quadro di stallo sulla legge elettorale.
NELLE ultime 48 ore sono saliti al Colle Casini, Bersani (Alfano è stato sentito per telefono), Gianni Letta e Calderoli. Berlusconi sarà ricevuto al rientro da Malindi dopo il ponte. Ma l’ennesimo rinvio chiesto ieri dal Pdl in commissione al Senato è la prova che l’intesa non c’è: l’ultimo nodo rimasto, quello della soglia oltre la quale far scattare il premio di maggioranza, sembra impossibile da sciogliere. E molto presto il presidente della Repubblica potrebbe prendere delle contromisure, passare all’offensiva. Nella maggioranza si teme un colpo di teatro, l’intervento del governo sulla materia, con un disegno di legge che metterebbe definitivamente in mora i partiti.
Roberto Calderoli è stato testimone della determinazione di Napolitano per spezzare la melina. «Sono stato dal presidente stamattina per un’ora — ha confidato ieri l’ex ministro leghista a un paio di senatori — e mi ha detto che ci dà tempo fino alla fine della prossima settimana. Ma se lo stallo dovesse perdurare… allora tutto è possibile».
Quel «tutto è possibile», lasciato volutamente in sospeso dal presidente della Repubblica, inizia a preoccupare seriamente i leader della maggioranza. Pier Luigi Bersani, l’ultimo in ordine di tempo a salire ieri sul Colle, ne è sceso corrucciato. «Da qui alla fine della legislatura — si è sentito ripetere dal capo dello Stato — non lascerò nulla di intentato per arrivare all’obiettivo ». Napolitano non ne ha fatto una questione di puntiglio. Il problema è che, avendo delegato al governo dei tecnici la salvezza del paese sui mercati, ai partiti è rimasto soltanto il compito di riformare la politica. Se dovessero fallire anche in questo, dopo un anno di tentativi, allora davvero non ci sarebbe più argine al populismo e all’antipolitica. «L’obiettivo — dicono dal Quirinale — è anzitutto far ritrovare ai partiti la credibilità in vista delle elezioni».
Oltre alla «persuasione morale», Napolitano ha in mano l’arma di un messaggio alle Camere. Un richiamo che potrebbe colpire in particolare un punto, proprio quello sollevato dalla Consulta in occasione del referendum Guzzetta: l’assenza di una soglia minima di voti per far scattare il premio elettorale.
Il Porcellum questa soglia non ce l’ha e teoricamente una coalizione del 30%, arrivando prima, potrebbe conquistare il 55% dei seggi.
Su dove fissare questa asticella — se in basso come vuole il Pd o molto in alto, intorno al 45%, come vuole il Pdl — ci si scontra da giorni a palazzo Madama. I centristi hanno anche suggerito un «lodo», sotto forma di un emendamento firmato dal capogruppo Giampiero D’Alia, che prevede per la Camera una soglia del 42% per guadagnare il premio di maggioranza. In caso nessuno la raggiunga c’è un premio di consolazione di 31 seggi al primo partito per Montecitorio e 15 al Senato. Così da consentire al Pd (nei sondaggi il probabile vincitore) di fare da fulcro per mettere insieme più agevolmente una maggioranza di governo.
Al di là delle questioni tecniche e dei tentativi in atto per evitare che il movimento di Grillo risulti determinante al Senato, resta la questione dello scioglimento anticipato. Nel colloquio di ieri con Bersani, Napolitano ha ribadito che preferisce arrivare ad aprile, la data naturale. Anche per non essere costretto a gestire la formazione del nuovo governo, visto che il suo mandato scadrà a maggio.
Eppure uno spiraglio ci sarebbe. In fondo già lo scorso giugno, quando venne sollevata la questione di una chiusura delle Camere più ravvicinata, il presidente della Repubblica non disse di no. Segnalando tuttavia che restavano ancora sul tavolo quattro importanti questioni: l’anticorruzione, la spending review, la legge di stabilità e la riforma del Porcellum.
Fatte le prime due, avviato l’iter della legge di stabilità (la cui approvazione è prevista per metà dicembre), resta la legge elettorale. Poi il carnet è vuoto, il programma del governo è di fatto esaurito, la campagna elettorale può iniziare. E Bersani, che intende sfruttare l’onda lunga delle primarie del Pd, ogni giorno che passa è un giorno di troppo.
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