Le carceri stanno scoppiando a Madrid come a Roma

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In Spagna, nonostante fino a un anno fa governasse una coalizione progressista, il numero di persone in carcere è superiore all’Italia. Se nel nostro paese i detenuti sono circa 66.500 su una popolazione di oltre 61 milioni, il sistema penitenziario spagnolo ne conta 69.500 su meno di 50 milioni di abitanti. Sorprende il picco registrato durante il governo Zapatero: tra il 2004 e il 2010 si passò da 59.000 detenuti a 77.000. Stupisce meno, considerato il contesto politico e culturale dell’Italia nello stesso periodo, che si sia verificato un trend analogo. Com’è dunque possibile che paesi con governi tanto diversi abbiano adottato politiche penali con un impatto simile sul sistema penitenziario?
Una risposta univoca è impossibile, poiché i fattori in gioco sono molteplici, e vanno dalla legislazione alle strategie di controllo esercitate dalle forze di polizia e al diverso clima culturale. Certamente l’introduzione di leggi antidemocratiche e lesive dei diritti fondamentali, qualora non implementata da un capillare sistema repressivo, ha un’influenza relativa. Si pensi, ad esempio, alla legge Fini-Giovanardi che equipara droghe leggere e pesanti e stabilisce una soglia quantitativa molto bassa per la presunzione di spaccio, prevedendo quindi la detenzione anche per i consumatori, o alla Bossi-Fini sull’immigrazione. Se queste due normative avessero avuto un’applicazione più rigorosa il numero di detenuti avrebbe avuto un’impennata di proporzioni inimmaginabili. Invece i tagli alla sicurezza e il sovraffollamento delle carceri hanno impedito l’aumento incontrollato dei detenuti che le politiche populistico-securitarie dell’era berlusconiana avrebbero potuto causare. Al contrario in Spagna, pur in presenza di leggi meno repressive (soprattutto in materia di droghe), condizioni strutturali diverse, come una maggior capienza delle carceri ereditata dal franchismo, hanno comunque portato a un netto aumento dei detenuti. Peraltro, come dimostrano le statistiche, la forte crescita dei tassi di detenzione, comune a tutte le democrazie occidentali, non è riconducibile a un aumento dei reati e della violenza. Politiche più repressive sembrano piuttosto una risposta demagogica al diffuso e crescente sentimento di insicurezza sociale. Accade così che i soggetti in condizioni più precarie assurgano a capri espiatori (la popolazione carceraria in Spagna e Italia ha caratteristiche analoghe: circa il 40% di stranieri e una stragrande maggioranza di persone che scontano condanne per piccoli reati contro il patrimonio o per violazione della legge sugli stupefacenti).
Fatte queste premesse, non sorprende che il passaggio da Zapatero a Rajoy, pur avvenuto tra notevoli polemiche sulla gestione dei fondi penitenziari, non abbia portato netti cambiamenti. L’innovazione forse più significativa degli ultimi anni, ovvero l’introduzione dei Mà³dulos de Respeto (un regime che prevede tra l’altro la detenzione a celle aperte), è rimasta in vigore con entrambi i governi. Tale istituto, voluto da Gallizo, dovrebbe essere volto a creare un clima di tolleranza e a interiorizzare valori di socializzazione e convivenza. L’accesso avviene su iniziativa del detenuto, che firma un Compromiso de Conducta con cui s’impegna a un piano di trattamento, ad attività  lavorative e formative e al rispetto di una serie di regole igieniche (anche intime) e di comportamento. Yuste sta tentando di estenderlo il più possibile, fino a generalizzarlo con gradualità  (a seconda dell’adattabilità  e dei precedenti del detenuto) anche a quanti non intendano aderirvi.
Ma i Mà³dulos de Respeto sono veramente una conquista democratica? I sostenitori affermano che hanno consentito un miglioramento in termini di socialità , formazione professionale, istruzione e rieducazione. Al contrario, i critici li considerano uno strumento tipico dell’istituzione totale, volto soprattutto a disciplinare con regole ferree e umilianti. Rimane un dilemma: si può obbligare un adulto, già  privato della libertà , ad adeguarsi a regole così invasive anche della sfera più intima? Perché di fatto di obbligo si tratta, poiché in Spagna, così come in Italia, è solo attraverso l’adesione ai progetti trattamentali che si può accedere a benefici penitenziari, comprese l’ammissione a misure alternative al carcere o la liberazione anticipata.


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