by Sergio Segio | 15 Novembre 2012 19:27
Mentre i trasporti erano paralizzati dagli scioperi, in Spagna, Portogallo e Italia si sono verificati scontri tra manifestanti e forze dell’ordine.
Secondo El Paàs, che dedica un titolo alle centinaia di migliaia di persone che “chiedono in strada [al primo ministro Mariano Rajoy] di rettificare la sua politica, quella di ieri è stata una “protesta paneuropea […] contro il diktat dell’austerity”:
In molti paesi abbiamo assistito a manifestazioni e dimostrazioni, rafforzate in Italia e Grecia da scioperi parziali. Soltanto in Spagna e Portogallo la protesta ha preso la forma di scioperi generali, dando l’impressione che la situazione sociale dei due paesi si stia avvicinando. In ogni caso la protesta paneuropea implica un movimento di solidarietà senza precedenti contro i tagli e i sacrifici imposti alle popolazioni in nome di obiettivi di risanamento che secondo i sindacati sono la causa diretta della recessione e della disoccupazione massiccia in Europa meridionale. Per questo motivo le istituzioni europee devono capire che sono chiamate in causa dalla protesta di ieri. Lo dimostra il fatto che il commissario europeo agli affari economici e monetari Olli Rehn abbia dedicato una conferenza stampa (improvvisata) all’annuncio che il governo spagnolo non imporrà un nuovo giro di vite nel 2013.
“Per gli economisti – sottolinea La Repubblica – le proteste sono soprattutto la prova che una politica indiscriminata di tagli e rincari choc, anziché diffondere fiducia si traduce in un boomerang:
la stretta a tasse e spese pubbliche produce minore crescita, la minore crescita meno tasse, il deficit di bilancio si aggrava e il giro ricomincia. Negli ultimi due anni, la Grecia che si avvitava nella crisi è stato l’esempio estremo, ma anche più trasparente del circolo vizioso dell’austerità ad ogni costo. […] I risultati sulla crescita cominciano, però, ad essere evidenti, anche al di fuori dei paesi tradizionalmente deboli. Dopo l’Olanda, anche la Francia comincia ad avere il fiato corto, ma, soprattutto, l’ombra lunga del ristagno si allunga sulla Germania. […] Nella giornata della rivolta europea contro l’austerità , non ci sono stati scioperi, ieri, in Germania. Fra un anno, vedremo.
“La violenza contro l’austerity è arrivata in Portogallo”, si rammarica Pàºblico all’indomani di uno sciopero generale terminato con gli scontri tra manifestanti e polizia a Lisbona, nei pressi del Parlamento. Quarantotto persone sono rimaste ferite e nove sono state arrestate.
Ciò che spinge i manifestanti – che siano violenti o pacifici, organizzati o solitari – è che si trovano in una situazione senza speranza. Il calo del reddito, i tagli ai servizi pubblici e la disoccupazione continuano a essere un pericoloso carburante per la rivolta sociale. Se non ci saranno risposte politiche, saremo costretti ad abituarci alle immagini di Atene, che fino a poco tempo fa sembravano impossibili nelle strade delle nostre città .
“Il popolo non vuole che il governo tagli l’assistenza sociale, riduca i salari più bassi e aumenti le tasse”, scrive Gazeta Wyborcza. Tuttavia il quotidiano di Varsavia sottolinea che
[chi protesta] non spiega come dovrebbe fare il governo a pagare i debiti contratti nel corso degli anni per sostenere il generoso sistema assistenziale. L’idea di fare in modo che siano solo i ricchi a pagare per la crisi è corretta dal punto di vista politico, ma non da quello economico. In ogni paese i ricchi rappresentano la minoranza. Il bilancio dello stato si regge sui contribuenti medi, che pagano il prezzo più alto per la crisi. La crisi del debito europea è in realtà una crisi del modello dello stato assistenziale europeo.
“L’Europa sciopera, la Germania resta a guardare”, constata la Tageszeitung. Mentre “milioni di dipendenti sono in sciopero contro le conseguenze della politica di crisi dell’Unione europea, i loro colleghi negli stati che guadagnano dalla crisi inviano i loro messaggi di solidarietà ”, ironizza il quotidiano. In Germania i sindacati vengono criticati per non aver saputo mobilitare la popolazione. Secondo la Taz – che cita un’espressione coniata da Angela Merkel come sinonimo di rigore – la ragione di questa indifferenza è che
la crisi non è ancora arrivata nelle teste e nei portafogli. Molti impiegati pensano che un po’ di mentalità da massaia sveva non farebbe male all’Europa del sud.
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